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12 agosto 2012
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Maltrattamenti familiari : pronuncia Cassazione rafforza dubbi su norma stalking
di Rita Guma*

Con la sentenza n. 24575 del 20 giugno 2012, la sesta sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna a due anni di reclusione per maltrattamenti in famiglia nei confronti di un uomo accusato di aver recato molestie alla ex moglie, dopo la separazione, ma prima del divorzio.

La Cassazione ha cioè affermato che si può applicare la normativa inerente un reato diverso dai maltrattamenti in famiglia nei casi in cui i comportamenti "sorti in seno alla comunità familiare (o assimilata) ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulerebbero dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo o sodalizio familiare e affettivo o comunque della sua attualità e continuità temporale. Ciò che può valere, in particolare (se non unicamente), in caso di divorzio o di relazione affettiva definitivamente cessata, giacché anche in caso di separazione legale (oltre che di fatto) si può ravvisare il reato di maltrattamenti, al venir meno degli obblighi di convivenza e fedeltà non corrispondendo il venir meno anche dei doveri di reciproco rispetto e di assistenza morale e materiale tra i coniugi". Ciò ferma restando la possibilità di un concorso apparente di norme che renda applicabili entrambi i reati di maltrattamenti e di atti persecutori.

Quindi, ove i maltrattamenti reiterati vengano posti in essere prima del divorzio, si applicherà la normativa sui maltrattamenti in famiglia, ove siano posti in essere dopo, quella dello stalking. La differenza non è da poco sul piano pratico, visto che la pena prevista per il reato di maltrattamenti è giustamente maggiore di quella per stalking, visto il contesto e il ruolo che favoriscono l'azione, ma quello che desta perplessità è la notevole differenza dei parametri necessari per l'individuazione del reato, così come si evince confrontando le due fattispecie.

L'Art. 572. (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) così recita: "Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente (Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, ndr), maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni".

Invece, l'Art. 612 bis. (Atti persecutori. Stalking), così individua la fattispecie di reato: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterata, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5/2/1992 n. 104, ovvero con armi o da persona travisata".

Dal confronto si rileva, come già denunciato in passato su queste pagine, il valore subordinato degli elementi oggettivi nella prova del reato di stalking. Infatti, una condotta analoga a quella delle molestie in famiglia integra il reato di stalking fuori della famiglia soltanto ove essa sia atta a "cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita". Adesso tale differenza viene ancor più evidenziata dalla sentenza della suprema Corte, da cui deriva che alcuni atti reiterati commessi prima del divorzio sono di per sè penalmente perseguibili, mentre dopo il divorzio lo sono ove producano effetti negativi seri sulla psiche e le abitudini di vita della persona perseguitata.

Va considerato anche che quella che può apparire come circostanza riduttiva per la prova della fattispecie di stalking (il danno prodotto) potrebbe essere al contrario utilizzata per sorreggere un'accusa di reato nel caso di soli pochi episodi ripetuti. Infatti, qualora il giudice non sia particolarmente attento a verificare che i timori siano oggettivamente fondati, il danno oggettivamente grave e il cambiamento delle abitudini di vita inevitabile (il tutto con riferimento ad una persona media), si potrebbero avere condanne anche per un paio di telefonate indesiderate, attesa la sentenza 17.02.2010 n° 6417 della quinta sezione della Cassazione penale, secondo cui integrano il delitto di atti persecutori, di cui all’art. 612-bis anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma sullo stalking.

Queste considerazioni confermano la sperequazione dovuta all'indeterminatezza della normativa sullo stalking per quanto attiene la prova del reato, indeterminatezza che apre ad abusi in un senso e nell'altro, a differenza della normativa sulle molestie, che basa l'accertamento del reato su elementi oggettivi.

* presidente dell'Osservatorio sulla legalità e sui diritti Onlus


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