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13 marzo 2024
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Strazio della Palestina e precipizio dell'Occidente
di Rita Guma *

Intervista del Presidente dell'Osservatorio, Rita Guma, al prof. Carlo Ruta, storico e saggista, sulle crisi e gli scenari di guerra che stanno scuotendo il mondo contemporaneo.

Professore, da decenni seguiamo il suo lavoro di studioso della storia e il Suo impegno su vari fronti, come quello contro le mafie.
Voglio ricordare solo alcuni dei Suoi libri "scomodi", che possono dare al lettore una panoramica sul Suo lavoro: "Cono d'ombra", "Politica e mafia negli Iblei", "Segreti di banca. L'Antonveneta dai miracoli del nord-est agli intrighi siciliani", mentre sulla questione di cui andiamo a discutere ha scritto fra l'altro "Guerre solo ingiuste. La legittimazione dei conflitti e l'America dal Vietnam all'Afghanistan".
Oggi che ci troviamo al punto forse più vicino a scatenare una guerra globale, Le chiedo la Sua visione di quanto accade in Ucraina e in Palestina.


È quella di un morbo che negli ultimi decenni è andato progredendo, ha seminato strage e in questi anni ha accelerato la sua corsa distruttiva. Dopo l’avventura finita male del Vietnam, che ha prodotto diversi milioni di morti civili, e dopo la parentesi della presidenza di Jimmy Carter, una delle più pacifiche nell’America del Novecento, tutto si è rimesso in moto negli anni di Ronald Reagan, quando, fermato il processo di autoanalisi che si era aperto nelle opinioni pubbliche negli anni 60-70, gli Stati Uniti riprendevano politiche estremamente aggressive e belliciste.
Il peggio è arrivato però dopo il 1989, quando l’America ispirata dal Pentagono si è convinta di essere ormai il legittimo conduttore e garante dell’intera scena globale. Questo attore geopolitico si è ritrovato allora sempre più pericolosamente esposto, ossessionato, mosso da politiche distruttive e prive di orizzonti oltre che di senso, tanto più dopo l’11 settembre 2001. Si arriva così all’oggi, alle soglie ormai del non ritorno.

Due mesi fa Lei ha dato alle stampe un libro che s’intitola «Il precipizio dell’Occidente», e il sottotitolo aggiunge «Dai fuochi di Baghdad alla morte di Gaza» (ed. Saperelibri 2024, ndr). Qual è l’Occidente di cui parla e cos’è il precipizio?

L’Occidente è quello euroatlantico che fa capo appunto alla potenza statunitense. Questo lavoro prende spunto dalla crisi dell’Ucraina e dallo sterminio in Palestina ad opera di Israele e inquadra, evitando ogni orpello retorico, la storia dell’ultimo ventennio. Obiettivo di questo lavoro, diviso tra passato e presente, è quello di documentare i fattori che hanno spinto il sistema occidentale agli orrori di questo tempo.
La storia ovviamente, lunga o ‘corta’ che sia, non è mai predittiva, ma fornisce impronte, segnali, sequenze e appigli che, ad una lettura accurata, possono aiutare a comporre tasselli mancanti e tentare riquadramenti di prospettiva. Proprio dai modelli delle guerre di questi decenni, «morali», «democratiche» e «umanitarie», si possono ricavare poi piste e orientamenti.

La storia, lei dice, è orientativa. Dove si sta andando?

La realtà è quella di un mondo confuso che sta dilapidando risorse materiali, intellettuali, morali e civili immense. E questa situazione evoca sempre più il primo Novecento, europeo in particolare, che in poco più di 20 anni, con i morti delle due grandi guerre e quelli di grandi epidemie, carestie e povertà estreme che ne furono conseguenza, portò quasi alla decimazione del genere umano.
I contesti sono però mutati e i rischi sono molto più elevati, poiché tutto avviene oggi negli orizzonti di un mondo super armato e nuclearizzato. Terrorizzato anche dalla sua ombra, l’Occidente in crisi si ritrova scopertamente terroristico, mentre non smette di atteggiarsi, quasi misticamente, a difensore di ‘valori supremi’, che contraddice senza ritegno giorno dopo giorno. Tutto questo non può che lasciare sgomenti.

Possiamo ascrivere tutto ciò solo a cause politiche ed equilibri geopolitici?

Le cause, ovviamente, non sono solo politiche e geopolitiche: a questo punto sono anche antropologiche. Stanno agendo pulsioni profonde, come quelle appunto che hanno contribuito a scatenare i due grandi conflitti del XX secolo. Nei modi d’essere delle politiche e nel loro approccio con la realtà si è aperta una lesione che sta provocando mutamenti radicali, fino a pochi anni fa insospettabili al senso comune.
Questa lesione antropologica, già avvistata come pulsione regressiva di morte da Sigmund Freud nel 1915, quando si era nel pieno della guerra in Europa, e dallo stesso psicologo discussa nei primi anni ’30 in un carteggio con Albert Einstein, si esprime da 30 anni a questa parte con una conflittualità sterminatrice. A darne atto sono i milioni di morti civili lasciati dalle invasioni a guida statunitense in varie parti del Globo, senza che nessuno abbia pagato mai il conto. George W. Bush, ad esempio, comandante in capo di guerre risultate immotivate che hanno prodotto vere e proprie ecatombe in Iraq e in Afghanistan, sta vivendo serenamente la sua vecchiaia, senza che nessuna corte penale internazionale gli abbia mai addebitato un crimine di guerra.

La famosa "esportazione di democrazia" che manifesta il senso di superiorità dell'Occidente e che ha coperto predazioni di risorse... Sappiamo che dai governi del resto del mondo - Sudafrica e paesi emergenti - provengono crescenti voci di denuncia, ma perché in Occidente non si manifestano aree di dissenso significative?

Il mondo «aperto» di cui parlava l’epistemologo Popper che, come Kelsen, Bobbio e altri, raccoglieva gli umori delle autoanalisi di cui si diceva prima, si è in realtà chiuso tragicamente, facendosi catatonico. Gli spazi reali di diritto e di libertà si sono contratti nella sostanza, svuotati da una finzione «democratica» che negli ultimi venti anni rasenta l’inverosimile. È l’effetto di un potere imperiale, emulo dichiarato dell’antica Roma, ma solo emulo, che si autolegittima da una lato ricorrendo sempre più alla forza militare, dall’altro ad un uso sempre più paradossale della mistificazione, che, cosa del tutto anomala nella storia, oggi arriva a soggiogare anche coloro che ne fanno uso.

* Presidente Osservatorio

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