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13 marzo 2024
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Strazio della Palestina e precipizio dell'Occidente
di Rita Guma *

Intervista del Presidente dell'Osservatorio, Rita Guma, al prof. Carlo Ruta, storico e saggista, sulle crisi e gli scenari di guerra che stanno scuotendo il mondo contemporaneo. (seconda parte)

Si riferisce ai media o anche ai governi?

Superando il metodo Goebbels, secondo cui una falsità ripetuta tante volte finisce con l’essere percepita dalle popolazioni come una verità, i governi occidentali, non ingannano solo le opinioni pubbliche e gli elettori ma, paradossalmente, anche sé stessi. E le conferme sono continue. Per questo autoinganno l’Occidente da due anni riesce a sostenere, armandola, una guerra ‘impossibile’: quella che si combatte in Ucraina.
Già perduta sul terreno militare, proprio a causa della cecità politica e geopolitica che l’ha generata, e diventata pericolosamente ibrida, asimmetrica e terroristica, questa guerra, come si usa dire oggi, «per procura», rompe di fatto ogni schema. Per radicalità supera infatti il tradizionale realismo militarista che ha ispirato le politiche più aggressive statunitensi del Novecento.
In questi due anni, perfino Henry Kissinger in persona, massimo macchinatore della guerra del Vietnam, ha dovuto spiegare ai governi occidentali la madornalità dei loro errori strategici, ma senza alcun esito. Si è entrati quindi in un vortice di rilanci, tipico del giocatore compulsivo che non sa perdere e proprio per questo accelera il tempo della rovina.

Ma non esistono dei consiglieri ben pagati il cui compito sarebbe quello di venire in soccorso dei governi sul piano strategico?

I Think Tank più potenti e referenziati, i «serbatoi di pensiero» di cui si servono gli Stati occidentali, dovrebbero in effetti attivarsi per fornire rimedi ad una crisi di sistema che rischia di diventare incontrollabile, ma essi stessi sono in realtà parte della patologia, politica e antropologica, che dovrebbero curare. Sono diventati infatti gli ispiratori più accaniti della guerra ibrida e delle mistificazioni correnti.
Uno dei più influenti di questi centri è ad esempio il britannico International Institute for Strategic Studies, che sostiene tra l’altro l’idea delirante di una Russia pronta ad assaltare l’Europa, riproponendo di fatto in maniera parodistica un topos propagandistico degli imperi coloniali europei del tardo Ottocento e del primissimo Novecento.

Quindi anche Lei, da studioso della Storia, non condivide tale allarmismo oggi usato per la corsa agli armamenti e per giustificare qualsiasi nefandezza e soprattutto per portare al limite situazioni che potrebbero scatenare un conflitto nucleare. Concorda, immagino, sul fatto che questa guerra sia molto pericolosa per i destini umani. Non pensa che l'UE dovrebbe agire all'opposto di quanto sta facendo?

Lo scenario russo-ucraino è quello di un conflitto territoriale, di un’area di confine contesa, a sfondo quindi nazionalistico, come tanti nella storia contemporanea e in ogni parte del Globo. La via naturale per una soluzione, dopo il fallimento dei protocolli di Minsk del 2014 e dell’anno successivo, sarebbe dovuta essere in primo luogo, per sano buon senso, quella di intensificare la mediazione europea.
Tanto più dopo l’eruzione armata del febbraio 2022, l’Unione Europea avrebbe potuto e dovuto dare il meglio di sé, riscoprire addirittura la sua ragion d’essere originaria, di caposaldo della pace nel continente, prefigurata dal Manifesto di Ventotene del 1941 e sostenuta da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e da tutti gli europeisti di quelle stagioni novecentesche.
Invece, succube dell’imperialità statunitense, essa si è imbarcata di fatto in uno scontro totale: un folle gioco d’azzardo che rischia di far esplodere il mondo intero. Secondo diversi punti di osservazione indipendenti, l’esito provvisorio di questi due anni di guerra può aver già superato di gran lunga il mezzo milione di morti ucraini e russi, in larga parte giovanissimi, ma il massacro continua e l’UE, senza alcuna remora, si è addirittura impegnata ufficialmente per armare il conflitto per i prossimi quattro anni. E qui la storia si riavvolge tragicamente.

In che senso si riavvolge tragicamente?

C’era una volta un Occidente plurale, diviso al proprio interno, anche verticalmente, ma comunicativo, che dopo le grandi catastrofi del Novecento decideva di rivedere le cose e rivedersi. In quel mondo euro-atlantico si manifestavano anche autoanalisi importanti, spesso sincere e profonde, che venivano sostenute da vasti movimenti d’opinione. In quei decenni avvenivano i processi di decolonizzazione, i negoziati strategici per il disarmo, il sostegno ai movimenti di liberazione, l’impegno degli Stati sui fronti delle disuguaglianze e dei diritti, la crescita di movimenti anti-apartheid e tanto altro.
Adesso quell’Occidente che riusciva a mettersi in discussione e ad elaborare addirittura dei sensi di colpa non c’è più. Quello che lo ha sostituito è un sistema cupo e nichilista, immobilizzato dalla morsa delle proprie pulsioni di morte. È lo scenario di oggi, che con pochissime eccezioni non risparmia le opinioni pubbliche e le società civili.
Masse di intellettuali si sottomettono e, come avveniva ai tempi del duce e del führer, rinunciano alla loro funzione critica oltre che alla loro dignità. Il mondo scientifico, che potrebbe spendere parole importanti, è andato liquefacendosi in silenzio. L’informazione che più dialogava con i potenti, mantenendo comunque un briciolo di autonomia, si è arruolata in servizio permanente effettivo. Le opinioni pubbliche, stordite dalle manipolazioni a reti unificate, sono infine disorientate.

Come si inscrive in questo scenario quel che avviene nella striscia di Gaza? E quale sarà, secondo Lei, il giudizio della Storia sulla tragedia che si sta verificando?

Si tratta della prova del nove del degrado in atto, anche antropologico. Questo mondo euro-atlantico, al di là del teatrino delle parti, in realtà molto scoperto, sta sostenendo all’unisono Israele nella distruzione integrale di Gaza, città palestinese di oltre due milioni di abitanti, e di altre città della striscia, come Khan Younis e Rafah. Questo fatto, avvenuto a freddo, si colloca tra i più orrendi in assoluto della storia contemporanea, con diverse decine di migliaia di morti civili già contati in appena 150 giorni, di cui almeno il 40% bambini.
Si sta facendo e si farà di tutto, a operazione chiusa, per nascondere l’«arma del delitto» e far dimenticare le atrocità compiute, che contemplano tra altro l’uccisione di 150 giornalisti, per lo più arabi, e di numerosi loro familiari: fatto, questo, senza alcun precedente dal secondo dopoguerra ad oggi. Sono prevedibili improvvise aperture di «dialogo» e perfino proposte di «soluzione», per far dimenticare.
Una cosa è però certa: questo sterminio che continua ancora, oltre il siparietto, con l’avallo manifesto degli Stati Uniti e dell’Europa, non potrà più essere cancellato dalla memoria storica del mondo che verrà. Israele e i suoi «civilissimi» complici d’ora in avanti dovranno convivere con questa infamia perenne.
Non c’è infatti atto terroristico, per quanto esecrabile possa essere, come quello avvenuto il 7 ottobre 2023, che possa giustificare un simile annientamento di massa, scomposto e demente, frutto anch’esso di una alterazione antropologica oltre che politica, come lo furono, appunto, gli orrori del primo Novecento.

* Presidente Osservatorio

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