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29 dicembre 2025
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Mohammad Hannoun: Fratoianni ne prende le distanze, tradendo l'intera causa
di Leandro Leggeri

In un’intervista rilasciata a la Repubblica, Nicola Fratoianni prende le distanze da Mohammad Hannoun, affermando che “non è un suo amico” e arrivando a sostenere che figure come lui “tradirebbero i palestinesi”.

Parole nette, pronunciate nel pieno di un’inchiesta giudiziaria che vede Hannoun al centro di gravi accuse, ma che sollevano interrogativi politici profondi sul modo in cui una parte della sinistra italiana sceglie di rapportarsi alla causa palestinese quando questa diventa scomoda.

Nel merito, Fratoianni insiste sulla necessità di distinguere tra solidarietà ai palestinesi e qualsiasi ambiguità verso Hamas, rivendicando una posizione “pulita” e priva di compromissioni. Ma è proprio questa distinzione, così formulata e calata nel contesto attuale, a risultare problematica.

Perché il caso Hannoun non nasce nel vuoto: si inserisce in una stagione in cui la solidarietà con Gaza è sempre più sotto attacco, e in cui reti umanitarie, associazioni e attivisti vengono sistematicamente sospettati, delegittimati e colpiti.

Mohammad Hannoun è da decenni una figura centrale dell’impegno umanitario a favore della popolazione palestinese, in particolare di Gaza, sottoposta a un assedio che dura da anni e che ha raggiunto livelli catastrofici. Le accuse che oggi lo riguardano non sono ancora passate al vaglio di un processo, e tuttavia il clima mediatico e politico che le accompagna tende già a trasformarle in una sentenza. In questo quadro, la scelta di Fratoianni di prendere le distanze non suona come una cautela garantista, ma come un atto di autoassoluzione preventiva.

Colpisce soprattutto l’assenza di una parola chiara sulla presunzione di innocenza e sulla natura profondamente politica di molte indagini che ruotano attorno alla solidarietà con la Palestina. Fratoianni ignora inoltre un elemento tutt’altro che marginale: gran parte delle informazioni raccolte sulle associazioni accusate di finanziare Hamas provengono direttamente da Israele, lo stesso Stato che conduce la guerra su Gaza ed è accusato a livello internazionale di crimini di guerra e genocidio. Un dato che avrebbe richiesto quantomeno cautela e spirito critico, e che invece viene rimosso dal suo ragionamento.

In questo quadro, un’inchiesta fondata anche su segnalazioni e valutazioni israeliane non viene problematizzata, ma di fatto assunta come base legittima. Così il discorso si rovescia: non è più la criminalizzazione della solidarietà a essere messa in discussione, ma la legittimità stessa di chi, come Hannoun, ha costruito per anni reti di sostegno materiale ai palestinesi. La Palestina resta evocata come causa astratta, mentre chi la sostiene concretamente diventa un imbarazzo da cui prendere le distanze. È una linea che rassicura i salotti politici e mediatici, ma che lascia soli gli attivisti sotto attacco.

Esprimere solidarietà a Hannoun oggi significa rifiutare la logica per cui chi sostiene la Palestina viene automaticamente messo sotto accusa, e opporsi a una repressione politica che colpisce attivisti, associazioni e reti di solidarietà mentre il massacro a Gaza continua nell’impunità. Significa rifiutare una logica per cui basta occuparsi seriamente di Gaza per finire nel mirino, e per cui la risposta di una parte della sinistra è l’allontanamento, non la difesa dei diritti e delle garanzie.

In questo senso, la posizione di Fratoianni appare non solo politicamente debole, ma dannosa: perché contribuisce a normalizzare l’idea che la solidarietà con i palestinesi sia accettabile solo finché resta simbolica e innocua.

La storia della Palestina insegna che chi paga il prezzo più alto sono sempre coloro che trasformano la solidarietà in pratica concreta. Lasciarli soli, nel momento dell’attacco, significa tradire l’intera causa.

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