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28 dicembre 2025
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Mohammad Hannoun: la solidarietà sotto processo
di Leandro Leggeri

In queste ore Mohammad Hannoun è diventato, agli occhi di una parte della politica e dei media, colpevole per definizione. Non per una sentenza, non per un processo concluso, ma per un’accusa ancora tutta da dimostrare. È un copione già visto: prima si costruisce il mostro, poi si chiede al resto della società di allinearsi e applaudire.

Sul piano giudiziario, i fatti sono chiari: esistono ipotesi investigative, che dovranno essere vagliate dalla magistratura. Fino a quel momento, in qualsiasi Stato di diritto, vale la presunzione di innocenza. Non è una formalità, ma una garanzia fondamentale, soprattutto quando le accuse sono gravissime e il rischio di strumentalizzazione politica è massimo.

Sul piano umano e politico, esprimo piena solidarietà a Mohammad Hannoun. Chi lo conosce, chi ha lavorato con lui, chi ha incrociato il suo impegno nel tempo, sa che la sua attività è sempre stata presentata e vissuta come solidarietà umanitaria e politica verso il popolo palestinese, non come sostegno a organizzazioni armate.

Trasformare retroattivamente quell’impegno in un sospetto criminale è un’operazione violenta, prima ancora che scorretta.

Questa vicenda non riguarda solo una persona. Riguarda il tentativo di criminalizzare la causa palestinese attraverso i singoli, di colpire la solidarietà per delegittimarla, di riscrivere il passato alla luce di accuse ancora tutte da provare. È la logica della colpa per associazione: oggi Hannoun, domani chiunque abbia manifestato, parlato, preso posizione.

Io confido nel lavoro della magistratura e sono convinto che saranno i tribunali — non i post dei politici né i titoli dei giornali — a fare chiarezza. Ma nel frattempo non accetto il processo mediatico, né l’idea che la solidarietà a un popolo oppresso debba essere trattata come una zona grigia da sorvegliare.

Difendere Hannoun oggi significa difendere un principio più grande:

che la giustizia non si fa sui social,

che la solidarietà non è un reato,

che la Palestina non può essere messa sotto accusa per procura.

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