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Iraq: milizie sciite, no a disarmo se restano truppe straniere
di Leandro Leggeri
In Iraq si apre un nuovo fronte politico-istituzionale attorno al tema del disarmo delle milizie sciite, pilastro dell’assetto di sicurezza emerso dopo la guerra contro l’ISIS ma oggi sempre più ingombrante per lo Stato centrale. Nelle ultime ore, alcune delle formazioni armate più potenti e influenti del Paese, tra cui Kataib Hezbollah e Harakat al-Nujabaa, hanno respinto l’appello lanciato dal Consiglio giudiziario supremo iracheno, rifiutando di consegnare le armi o di sciogliere le proprie strutture militari.
L’appello della magistratura irachena invitava tutte le milizie a “cooperare per far rispettare lo stato di diritto, limitare le armi allo Stato e transitare verso l’azione politica”, sostenendo che la necessità nazionale di una mobilitazione armata sarebbe ormai venuta meno. Un messaggio che, nelle intenzioni ufficiali, mirava a rafforzare l’autorità statale e a normalizzare il quadro della sicurezza interna.
La risposta delle principali milizie della cosiddetta “resistenza islamica” è stata però netta. Kataib Hezbollah ha dichiarato che la resistenza armata contro la presenza militare straniera è un diritto nazionale legittimo, e che qualsiasi discussione sul disarmo potrà avvenire solo dopo il completo ritiro delle forze straniere dal territorio iracheno, incluse quelle statunitensi, NATO e turche. Posizioni analoghe sono state espresse, direttamente o indirettamente, da Harakat al-Nujabaa e da altre formazioni allineate all’asse filo-iraniano.
Il nodo centrale resta la definizione stessa di “fine dell’emergenza”. Per il Consiglio giudiziario e per parte dell’establishment politico iracheno, la fase militare straordinaria si è chiusa con la sconfitta dell’ISIS. Per le milizie, invece, la presenza di truppe straniere equivale a una forma di occupazione, che giustifica il mantenimento delle armi e delle strutture combattenti.
Il quadro resta frammentato. Alcune fazioni affiliate alle Forze di Mobilitazione Popolare (PMF) hanno mostrato una cauta apertura al principio di rafforzare il monopolio statale delle armi, ma senza assumere impegni concreti o immediati. Nessuna milizia, allo stato attuale, ha annunciato passi reali verso il disarmo.
La vicenda mette in luce un problema strutturale dell’Iraq post-2014: milizie formalmente integrate nello Stato ma politicamente e militarmente autonome, capaci di opporsi apertamente a un indirizzo proveniente da uno dei massimi organi istituzionali del Paese. Un equilibrio fragile, che continua a tenere Baghdad sospesa tra sovranità incompiuta, pressioni regionali e conflitto latente con la presenza occidentale.
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