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Londra: con slogan “globalise the intifada” si rischia l'arresto
di Leandro Leggeri
Le forze di polizia del Regno Unito, in particolare la Metropolitan Police di Londra e la Greater Manchester Police, hanno annunciato un inasprimento dell’approccio ai cori e agli striscioni contenenti lo slogan “globalise the intifada” durante le manifestazioni, avvertendo che chi lo utilizza potrà essere arrestato e perseguito con le leggi sull’ordine pubblico.
La decisione è stata presa nel contesto di un aumento della violenza antisemita e degli attacchi contro comunità ebraiche, inclusi il massacro di Bondi Beach a Sydney e l’attacco alla sinagoga di Manchester.
In una dichiarazione congiunta, i capi delle due forze di polizia hanno sottolineato che “le parole e gli slogan usati, soprattutto nelle proteste, hanno conseguenze reali” e che la situazione di minaccia crescente richiede un’azione più decisa, con l’uso di poteri previsti dal Public Order Act.
Nel corso di una protesta a Westminster, Londra, sono state infatti arrestate due persone sospettate di aver urlato slogan collegati alla “intifada”, e altri tre manifestanti sono stati fermati per vari reati di ordine pubblico, compreso l’ostacolo all’arresto. La polizia ha spiegato che si tratta della prima applicazione di questa linea di intervento, che mira a prevenire linguisticamente ciò che le autorità ritengono possa incitare alla violenza.
Il termine “intifada” in arabo significa “sollevazione” o “ribellione”, ed è storicamente associato alle due grandi ondate di rivolta palestinese contro l’occupazione israeliana: la Prima Intifada (1987–1993) e la Seconda Intifada (2000–2005).
Tuttavia, in questo nuovo quadro, le forze di polizia britanniche considerano l’uso pubblico dello slogan come potenzialmente incitante all’odio o alla violenza, soprattutto quando rivolto in modo mirato verso comunità specifiche o in un clima di tensione aggravata da recenti attacchi.
Le reazioni sono state contrastanti: organizzazioni comunitarie ebraiche hanno accolto con favore la decisione come passo necessario per proteggere la sicurezza delle loro comunità, mentre gruppi pro-Palestina e difensori della libertà di espressione hanno criticato la misura, sostenendo che rischia di limitare il diritto di manifestare e di esprimere solidarietà politica e che il semplice uso di una parola storica non è di per sé un incitamento alla violenza.
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