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19 dicembre 2025
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Ponte del nord pagato dal sud
di Raffaele Florio

C’è un dettaglio, uno solo, che nel grande circo del Ponte sullo Stretto viene sempre raccontato a bassa voce, come le clausole scritte in corpo 6 nei contratti capestro: chi prende i soldi.

Perché il Ponte, più che un’infrastruttura, sembra una lotteria. E, guarda caso, vince sempre lo stesso banco.

Ci avevano venduto il Ponte come l’atto di riscatto del Mezzogiorno, il colpo di reni storico, la fine della marginalità. Invece, a conti fatti, il Sud fa il territorio, il disagio, i cantieri, i rischi, le polemiche. Il Nord fa i fatturati. Una divisione dei compiti quasi commovente per efficienza.

La propaganda parla di sviluppo, occupazione, futuro. La realtà parla di percentuali impietose: la stragrande maggioranza dei miliardi (80%) pubblici finirà a grandi gruppi industriali che con Sicilia e Calabria hanno lo stesso rapporto che un hedge fund ha con una mensa Caritas. Passano, incassano, salutano.

E guai a farlo notare: subito scatta l’accusa di “ideologismo”, di freno al progresso, di sabotaggio della modernità. Curioso concetto di modernità: un’opera finanziata anche con soldi del Sud che produce ricchezza altrove, lasciando sul posto le briciole e la retorica.

Il capolavoro è politico prima ancora che economico. Perché nessuno spiega perché un’opera che dovrebbe “unire” l’Italia riproduce esattamente il solito schema coloniale: il Sud come piattaforma logistica, il Nord come cassaforte.

Altro che ponte: questa è una tubatura. E il flusso va in una sola direzione. Nel frattempo, le imprese locali vengono invitate a partecipare con entusiasmo… ai subappalti minori, quelli a basso margine e alto rischio. Traduzione: tu lavori, io fatturo. È il capitalismo delle grandi opere, bellezza.

E mentre si discute di campate, tiranti e record ingegneristici, nessuno sembra turbato dal fatto che 35 miliardi di euro di spesa pubblica non producano una vera politica industriale per i territori coinvolti. Nessun rafforzamento strutturale, nessuna filiera stabile, nessuna crescita autonoma. Solo l’ennesimo “effetto annuncio”.

Il tutto condito da una domanda imbarazzante che resta sospesa nell’aria come una bestemmia in chiesa: ma se il Ponte è del Sud, perché i soldi se li prende il Nord?

La risposta, ovviamente, non arriverà. Perché il Ponte non serve a colmare divari, ma a renderli presentabili, rivestiti di acciaio e propaganda. Serve a dimostrare che si può spendere tantissimo senza cambiare nulla. Un miracolo tutto italiano.

E così, mentre qualcuno sogna l’inaugurazione con elmetto e forbici, il Sud rischia di ritrovarsi ancora una volta con l’opera, i problemi e la beffa.

Il Ponte non unirà due sponde. Unirà un bilancio pubblico a un conto privato.

Il resto è marketing. E cemento armato.


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