Libano senza difesa ritenuto sacrificabile
di Leandro Leggeri

Un anno di “cessate il fuoco” sulla carta, diecimila violazioni sul terreno. Gli attacchi israeliani contro il sud del Libano non si sono mai fermati: più di 7.500 sorvoli militari, 2.500 incursioni di terra, bombardamenti su quartieri civili rasi al suolo mentre l’esercito libanese restava a pochi minuti di distanza, incapace di reagire.

Non per mancanza di coraggio, ma perché il Libano non è mai stato autorizzato ad avere gli strumenti per farlo. Come ricostruisce Middle East Eye, la debolezza dell’LAF non è frutto del caso: dagli anni ’80 a oggi, pressioni internazionali, veti e accordi bilaterali hanno impedito che il Paese sviluppasse una reale capacità di difesa. Offerte bloccate, sistemi d’arma negati, un esercito sostenuto economicamente ma mai abbastanza da poter proteggere il proprio cielo.

Nel frattempo Israele colpisce, espande la propria presenza nel sud della Siria e del Libano, ignora la Risoluzione 1701 e continua a bombardare con la certezza dell’impunità. E tutto avviene mentre i mediatori occidentali, seduti ai tavoli diplomatici, arrivano persino a suggerire attacchi contro funerali affollati da centinaia di migliaia di civili.

In questo contesto, il Libano vive un paradosso tossico: gli si chiede di contenere la Resistenza, ma non gli si permette di avere un esercito capace; gli si chiede stabilità, ma gli si nega il diritto alla difesa; gli si chiede dialogo, mentre le bombe continuano a cadere. E così, per una parte della popolazione, Hezbollah rimane l’ultimo deterrente esistente. Non per scelta ideologica, ma per necessità strategica.

Finché il mondo continuerà a trattare il Libano come un territorio sacrificabile, il Paese sarà costretto a seppellire i suoi morti sotto cieli che non può controllare.

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