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11 dicembre 2025
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Trump svelerà nomi del board of peace nel 2026
di Franca Rissi

Mercoledì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che i nomi di coloro che faranno parte del suo cosiddetto "Consiglio per la Pace" di Gaza saranno svelati all'inizio del prossimo anno.

Parlando alla Casa Bianca, Trump ha dichiarato che i leader mondiali sono ansiosi di entrare a far parte dell'entità che intende presiedere personalmente. "Lo faremo all'inizio del prossimo anno e il Consiglio per la Pace... sarà uno dei consigli più leggendari di sempre", ha detto ai giornalisti. "Vogliono che tutti ne facciano parte. In pratica, saranno i leader dei paesi più importanti. Tutti vogliono farne parte".

Il piano, approvato il mese scorso in una controversa risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, pone di fatto Gaza sotto un'autorità transitoria gestita dall'esterno, con governi stranieri che gestiscono tutto, dagli aiuti umanitari ai finanziamenti per la ricostruzione.

Secondo fonti diplomatiche, la risoluzione 2803 autorizza un "periodo di governance transitoria" di due anni durante il quale il consiglio, guidato dall'estero, supervisionerebbe l'infrastruttura politica, amministrativa ed economica di Gaza. Una "forza di stabilizzazione internazionale" parallela, comandata da un generale statunitense ma composta da militari alleati, supervisionerebbe le misure di sicurezza e imporrebbe la cosiddetta "smilitarizzazione".

Osservatori di tutta la regione hanno avvertito che una tale struttura rispecchia i sistemi di mandato coloniale imposti dalle potenze europee all'inizio del XX secolo: capitali stranieri che decidono il destino di un popolo occupato, definendo l'accordo come "pace" e "stabilità". Gli analisti notano la sorprendente somiglianza con il quadro del Mandato britannico che governò la Palestina dal 1920 al 1948, un periodo ampiamente ricordato come il preludio a espropri e sfollamenti di massa.

Le prime bozze dell'idea includevano figure come l'ex primo ministro britannico Tony Blair, il cui ruolo nella guerra in Iraq suscitò un'immediata resistenza da parte degli stati arabi e musulmani. Il nome di Blair sarebbe emerso durante discussioni riservate con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, incluso un incontro segreto tra i due all'inizio di questo mese, in cui Blair ha proposto un piano di amministrazione straniera per la governance di Gaza.

A seguito delle reazioni negative a livello regionale e delle preoccupazioni di Washington sul fatto che il coinvolgimento di Blair avrebbe aggravato la percezione di un'interferenza coloniale occidentale, si dice che sia stato rimosso. Tuttavia, il quadro più ampio rimane invariato: un consiglio guidato dal presidente degli Stati Uniti, il principale sostenitore della campagna genocida di Israele, che presiede un territorio alla cui popolazione è stata negata la rappresentanza in ogni fase.

Le fazioni della Resistenza Palestinese hanno già respinto queste proposte, definendole un tentativo di ripristinare la "tutela internazionale" su Gaza, paragonando il piano all'epoca degli alti commissari britannici che governavano la Palestina senza il consenso locale. Hamas e la Jihad Islamica hanno avvertito che i palestinesi non accetteranno alcuna figura, inviato o "amministratore di pace" straniero imposto dall'esterno.

Giuristi, gruppi della società civile palestinese e istituti di politica regionale hanno descritto il piano come una forma di governance neocoloniale progettata per consolidare, non smantellare, i sistemi di controllo che hanno soffocato Gaza per decenni.

Gli esperti di diritti umani sostengono che la creazione di un consiglio presieduto da personalità straniere per gestire Gaza equivale a riconfezionare l'occupazione sotto la gestione internazionale. Avvertono che tali accordi hanno storicamente prodotto dipendenza, frammentazione e perdita permanente di sovranità, evidenziando parallelismi con il Kosovo, Timor Est e l'Autorità Provvisoria della Coalizione irachena.

I critici temono che il piano trasformerebbe il paesaggio devastato di Gaza in un laboratorio per la "costruzione di uno Stato" gestito dall'esterno, con tecnocrati stranieri che decidono le priorità politiche mentre i palestinesi rimangono esclusi dai processi decisionali significativi. Senza sovranità, responsabilità o liberazione, affermano, "transizione" diventa sinonimo di sottomissione perpetua.

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