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10 dicembre 2025
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Odio Israele? Un israeliano si interroga
di Rosa Rinaldi

Traduco un post di Tom Zandman, cittadino israeliano (che sarebbe considerato antisemita per i nostri parlamentari sionisti):

"Mi chiedo: odio Israele?
È un’accusa che mi viene rivolta spesso. Che “odio il mio popolo”, o “odio me stesso”. O che sono un traditore.

Ma in realtà, il sentimento più forte che provo verso Israele è molto più semplice:
Paura.
Ho una paura mortale di questo Stato.

Prima però, togliamoci di mezzo una cosa: chi considera “l’amore per lo Stato” un valore morale o un principio politico fondamentale, significativo o rilevante in qualche modo, ha già percorso almeno metà della strada verso il fascismo. E probabilmente, comunque, non abbiamo niente di cui discutere.

Detto questo: chiunque abbia un minimo di cervello e due occhi funzionanti — e la volontà di usarli — dovrebbe avere paura di questo Stato. Una paura mortale.

I motivi sono infiniti, ma negli ultimi tempi ce n’è uno che mi ossessiona: Israele gestisce sul suo territorio un enorme e istituzionalizzato sistema di campi di tortura.

Ho paura di Israele perché rapisce e fa sparire centinaia, migliaia di persone — per lo più “uomini in età da combattimento”, la categoria che suscita meno empatia — li trattiene senza processo, senza accuse formali, completamente isolati dal mondo, senza un avvocato, mentre le loro famiglie non hanno idea di dove siano finiti.

Ho paura di Israele perché li rinchiude in campi di tortura, generalmente chiamati “strutture detentive” del “Servizio Carcerario”, e infligge loro — così come ai migliaia di detenuti di sicurezza — atrocità da film dell’orrore.

Ho paura perché vengono ammassati in blocchi di cemento nudi, a volte in vere e proprie gabbie, in condizioni di sovraffollamento estremo, senza elettricità né acqua corrente. Perché vengono affamati, lasciati ammalare, ammanettati fino alla necrosi o all’amputazione degli arti, privati di cure mediche.

Ho paura di Israele perché all’interno dei suoi centri di detenzione ha creato una catena di montaggio dell’abuso fisico e psicologico. Prendono prigionieri, detenuti, ostaggi, e uno dopo l’altro li pestano a sangue, a volte fino a ucciderli. Scosse elettriche, waterboarding, posizioni di stress, privazione del sonno, cani che attaccano. Umiliazioni di ogni genere; guardie che urinano sui detenuti. Aggressioni sessuali, stupri, stupri di gruppo, stupri con oggetti, perfino stupri perpetrati da cani.

Ho paura di Israele perché questi campi di tortura uccidono, in media, una persona alla settimana negli ultimi due anni. E noi abbiamo ancora il coraggio di discutere “pro e contro la pena di morte”.

Ho paura di Israele perché testimonianza dopo testimonianza di sopravvissuti, inchiesta dopo inchiesta, rapporto dopo rapporto, rendono impossibile negare che tutto questo sia intenzionale, sistematico, strutturale. Non episodi isolati di qualche guardia sadica, ma una politica chiara e istituzionalizzata.

Ho paura di Israele perché chi esegue questa politica sono guardie e soldati dello Stato. E anche se tecnicamente violano qualche legge, non verranno mai puniti per ciò che fanno. Perché lo fanno in uniforme, in nome dello Stato, per conto dello Stato, nel modo più ufficiale possibile.

Ho paura di Israele perché loro sono Israele, quando mettono in pratica questa politica. Questo è ciò che Israele vuole e sceglie di fare come Stato: torture sistematiche che persino l’ISIS giudicherebbe eccessive.

Ho paura di Israele perché la notizia del giorno è “il caso della procuratrice militare”. E quel caso serve solo a distogliere l’attenzione dai soldati che hanno stuprato un poliziotto palestinese a Sde Teiman. E quei soldati, a loro volta, distolgono l’attenzione dalla routine quotidiana di Sde Teiman, che è un ciclo continuo di torture inflitte a chiunque ne attraversi i cancelli — non per mano di cinque guardie, ma dell’intero sistema. E Sde Teiman distoglie l’attenzione dall’intera rete di campi di tortura che Israele ha creato e gestisce sotto la sigla “Servizio Carcerario”.

E quando questa è la realtà, ogni discussione sul “odiare Israele” o “amare Israele” è assurda.
Un distacco totale dalla realtà.

Lo Stato ha campi di tortura ufficiali disseminati ovunque, vere e proprie scenografie quotidiane di film snuff prodotti dal governo stesso. E noi giudichiamo le persone in base al loro grado di amore per lo Stato.

Paura. Paura mortale.

Non la paura del “prima o poi toccherà anche a me”.
Può darsi che succeda, ma non è questo il punto.
Parlo della paura di vivere in una casa e sentire urla provenire dal seminterrato, sapendo esattamente cosa accade laggiù. Un film dell’orrore. La vita quotidiana scorre per lo più sotto il segno della rimozione. Ci si sforza di non sentire quei rumori che salgono dal seminterrato. Alla fine, è qui che vivi, e devi continuare a vivere.
Devi scegliere: normalizzare o impazzire. Abituarti al rumore di fondo delle urla, o affondare in esse. Questa è la casa.

Così, la maggior parte del tempo, rimuovo. Vivo la mia vita: famiglia, lavoro, affitto, spesa. E poi, all’improvviso, bloccato nel traffico o passeggiando con il cane, risento quelle urla e ricordo d’un tratto che ho paura. Perché il mio Stato gestisce un sistema ufficiale di campi di tortura con dentro migliaia di esseri umani. Ed è davvero una paura mortale.

Una paura mortale, ma una paura sana. È giusto avere paura delle cose spaventose. È così che capisci di non essere ancora impazzito — e nemmeno completamente assuefatto.

Non puoi aiutare chi è rinchiuso e torturato nel seminterrato.

Ti resta solo la paura, perché la paura è l’unica testimonianza, in questa casa, del loro dolore, di ciò che viene loro fatto, della loro stessa esistenza.

L’intero mondo è un pavimento sottilissimo, e l’unica cosa che davvero conta è avere paura. Avere paura, in generale.

O forse semplicemente “odio Israele”. Forse.

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