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Dottoressa vorrebbe tornare a Gaza. Israele dice no
di
Rosa Rinaldi
Questa è una preziosa testimonianza di una chirurga che ha operato a Gaza e che vorrebbe tornarci, ma si trova davanti il NO di Israele.
Questa è la punizione di Israele per i medici che sono stati a Gaza e hanno raccontato ciò che hanno visto.
Però ehy! Non si può escludere Israele neanche dall'Eurovision!
Se no, poverini, si offendono!
Questa è la traduzione:
"Mi sento in colpa per aver lasciato soli i miei colleghi medici a Gaza, ma Israele mi impedisce di tornare
Victoria Rose, Specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva
4 dicembre 2025, Haaretz
La parola “delusione” non riesce davvero a descrivere ciò che provo. Sono sfinita e depressa, ma soprattutto mi travolge un enorme senso di colpa: per aver deluso i miei colleghi a Gaza, che hanno disperatamente bisogno di sollievo; per le attrezzature e i materiali che avevo promesso di portare e non ho portato; e per i fondi umanitari che ho sprecato in un viaggio a vuoto verso la Giordania.
Sono una chirurga plastica britannica e membro dell’organizzazione di soccorso IDEALS. Dal 2018 formo medici a Gaza e li affianco nella loro attività. Dal 7 ottobre 2023 sono entrata nella Striscia tre volte, ma in altre tre occasioni la mia richiesta di ingresso è stata respinta.
La prima volta che sono tornata a Gaza, nel marzo 2024, l’ingresso non è stato problematico. Siamo passati da Rafah con 25 valigie piene di forniture mediche e siamo stati assegnati all’ospedale europeo di Khan Yunis. Abbiamo lavorato senza sosta per due settimane e mezzo, curando una quantità incalcolabile di bambini ustionati o feriti nei bombardamenti, e siamo rientrati nel Regno Unito completamente esausti.
A maggio 2024, però, l’esercito israeliano ha preso il controllo del valico di Rafah, impedendo al personale medico di entrare da lì.
Il COGAT ha assunto il controllo delle operazioni di aiuto dell’ONU e dell’OMS, e tutti i team medici sono stati obbligati a rimanere nella Striscia per almeno un mese. Ci è stato permesso di portare solo 23 kg di cibo per tutta la durata della missione e siamo stati sottoposti ai controlli israeliani.
Per entrare a Gaza occorre presentare tramite ONU o OMS una richiesta per ottenere un posto in una delle due carovane settimanali.
Le organizzazioni verificano le qualifiche mediche di ogni partecipante. Il processo inizia circa un mese prima del viaggio e viene confermato due settimane prima del volo per Amman. Ai volontari viene chiesto di raggiungere la città il giorno precedente, per partecipare al briefing di sicurezza dell’ONU e ottenere l’autorizzazione al passaggio da parte del COGAT.
Il primo rifiuto è arrivato il 12 febbraio 2025, alle 18:54. Avremmo dovuto partire per Gaza l’indomani alle sei del mattino, ma il COGAT ha negato l’ingresso a tutti e quattro i medici di IDEALS. All’inizio non è stata fornita alcuna motivazione.
Abbiamo deciso di restare ad Amman per tentare un ricorso e unirci alla carovana successiva. Il Ministero degli Esteri britannico, l’OMS, mediatori ufficiali e altre ONG hanno interceduto per noi.
Dopo una settimana, senza alcun progresso, siamo tornati nel Regno Unito profondamente delusi, anche perché avevamo preso un mese di congedo dal nostro lavoro nel sistema sanitario britannico.
Una settimana dopo, il COGAT ha comunicato che il rifiuto era dovuto a “inesattezze” nella nostra documentazione — le stesse identiche utilizzate nelle tredici missioni precedenti e anche in quella successiva, che infatti è stata approvata.
A ottobre 2025 è partita la nostra 22ª missione.
Saremmo dovuti entrare a Gaza domenica 12 ottobre, due giorni dopo l’inizio del secondo cessate il fuoco. Eravamo in quattro. Giovedì 8 ottobre, un giorno prima della partenza per Amman, ci è stato comunicato che tre di noi non avevano ottenuto il permesso.
Anche questa volta il Ministero degli Esteri britannico ha chiesto spiegazioni, senza riceverne. Abbiamo ipotizzato che il rifiuto anticipato fosse un modo per evitare che un diniego più vicino alla data facesse sembrare che Israele stesse violando l’impegno ad aumentare gli aiuti dopo l’entrata in vigore della tregua.
A quel punto abbiamo pensato di rinunciare. Ma non l’abbiamo fatto. La situazione a Gaza resta drammatica: il clima peggiora, le infrastrutture già devastate da oltre due anni di guerra continuano a deteriorarsi, e la crisi sanitaria si aggrava.
Si discute sul numero reale dei camion di aiuti autorizzati a entrare, ma è certo che l’assistenza medica è bloccata.
Israele nega l’ingresso al personale sanitario al valico di Allenby perché porta con sé stetoscopi personali o fili chirurgici per le suture.
I team locali riferiscono che mancano perfino tubi per dialisi pediatrica.
Le scorte per l’anestesia stanno finendo e non è possibile riparare o sostituire gli strumenti chirurgici. L’ingresso di forniture mediche e di operatori sanitari è di fatto impedito.
Nel 2025, secondo l’OMS, il COGAT ha approvato solo il 47% delle richieste di ingresso del personale medico.
Il 1° dicembre è stata respinta anche la richiesta di effettuare una valutazione preliminare per un nuovo presidio sanitario presso l’ospedale Kamal Adwan, nel nord della Striscia.
Nel suo discorso alla Knesset del 10 novembre, Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la guerra “non è finita”.
La tregua, sembra, permette semplicemente a Israele di continuare le operazioni militari senza ostacoli: ha violato l’accordo più di 500 volte e ha ucciso almeno 356 palestinesi.
Dall’inizio del conflitto, a Gaza sono rimaste ferite 170.965 persone.
Oggi, più che mai, c’è un bisogno disperato di medici".
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