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04 dicembre 2025
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Sachs parla la lingua della geopolitica, non quella della propaganda
di Leandro Leggeri

Le critiche rivolte a Jeffrey Sachs seguono quasi sempre lo stesso schema: viene etichettato come “filorusso”, “ingenuo”, o addirittura un propagandista. Lo si è visto anche nel caso di Carlo Calenda, che il 23 ottobre lo ha definito un “bugiardo” invece di confrontarsi con i suoi argomenti.

In realtà, ciò che Sachs sostiene è perfettamente coerente con la tradizione realista delle relazioni internazionali — da Kennan a Mearsheimer, da Walt a Kissinger — cioè quella scuola che analizza la distribuzione del potere, non le morali consolatorie. Chi lo interpreta come un difensore di Putin, semplicemente, non lo sta leggendo.

Sachs ricorda un punto elementare ma rimosso dal discorso pubblico: la sicurezza internazionale è indivisibile. Non può esistere un’Europa stabile se si pretende che una grande potenza accetti senza reagire l’avanzata di un’alleanza militare ostile lungo migliaia di chilometri dei suoi confini. Questo non è “capire Putin”: è capire la geopolitica.

Gli Stati Uniti non lo tollerarono con Cuba; la Cina non lo tollera nel Mar Cinese Meridionale; l’India non lo tollera in Kashmir. L’idea che la Russia dovesse invece tollerare la trasformazione dell’Ucraina in un avamposto militare occidentale è sempre stata un’illusione pericolosa.

Sachs ricorda inoltre che l’Ucraina non nacque come Paese “pro-NATO”. La neutralità era scritta nella sua Costituzione del 1996 e ribadita dalla legge del 2010, mentre per vent’anni la maggioranza degli ucraini rifiutò l’adesione all’Alleanza. Non fu la Russia a cambiare questo quadro, ma l’Occidente, che a partire dal 2004 iniziò a sostenere politicamente ed economicamente quei movimenti favorevoli al cambio di orientamento geopolitico, fino alla famosa dichiarazione della NATO nel 2008 secondo cui “Ucraina e Georgia diventeranno membri”. Angela Merkel allora osservò che, dal punto di vista di Mosca, era una dichiarazione di guerra. E aveva ragione.

Quando nel 2014 il governo di Yanukovich — eletto su una piattaforma di neutralità — cadde attraverso una rivolta armata e una procedura parlamentare discutibile, gli Stati Uniti riconobbero il nuovo governo quasi immediatamente. Da quel momento, l’Ucraina divenne di fatto un partner militare della NATO, con addestramento, integrazione dei sistemi di comando, intelligence condivisa e un massiccio flusso di armi. Tutto questo avvenne mentre gli accordi di Minsk — che avrebbero dovuto risolvere politicamente la questione del Donbass — venivano sabotati dagli stessi firmatari occidentali, come Merkel e Hollande hanno ammesso anni dopo.

Il punto di Sachs non è che la Russia avesse “ragione” a invadere. Il suo punto è che l’invasione era prevedibile, quasi meccanica, dentro una dinamica strutturale che gli Stati Uniti conoscevano benissimo. Nel dicembre 2021, Mosca chiese formalmente un negoziato sull’esclusione dell’Ucraina dalla NATO. Washington rispose che la politica della “porta aperta” non era negoziabile. Lo stesso Stoltenberg, nel 2023, ha spiegato che quello fu il momento in cui lo scontro divenne inevitabile. Non c’è propaganda russa in tutto questo: ci sono i documenti, le dichiarazioni pubbliche, la cronologia reale.

Sachs viene attaccato non perché dice cose false, ma perché ricorda all’Occidente qualcosa che oggi non vuole sentirsi dire: la guerra non è scoppiata per caso e non può essere capita come una fiaba morale con buoni e cattivi. È il risultato di una strategia occidentale che ha demolito, pezzo dopo pezzo, l’architettura di sicurezza europea costruita dopo il 1991, sostituendo il principio dell’equilibrio con quello dell’espansione unilaterale. Una scelta politica di Washington — non dell’Ucraina, non dell’Europa — che ha ignorato tutti gli avvertimenti, a partire da quello di Kennan nel 1998: “L’espansione della NATO è il più grande errore strategico della politica americana del dopo Guerra Fredda”.

Sachs non difende Putin. Difende la logica di un ordine europeo stabile. Ricorda che una sicurezza costruita ignorando la seconda potenza nucleare del continente non è sicurezza, ma un’illusione. Invita a prendere atto che l’Ucraina è stata trascinata in un confronto tra grandi potenze e che nessuna pace sarà possibile se non si ripristinerà il principio che ha permesso all’Europa di vivere trent’anni senza guerra: la neutralità degli Stati cuscinetto e la sicurezza indivisibile.

Che Sachs abbia torto o ragione è discutibile; che stia parlando la lingua della geopolitica, non quella della propaganda, dovrebbe essere evidente.


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