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03 dicembre 2025
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Ruanda: non è poesia
di Laurent Luboya

Quando Paul Kagame dichiara che "il conflitto tra Ruanda e RDC è appena in superficie, e sotto c'è un vulcano", non è solo un'immagine poetica. Questa frase rivela una strategia politica a tutto tondo: distogliere l'attenzione, spostare le responsabilità e mascherare una pericolosa politica regionale di cui ha una parte centrale.

Dietro questa metafora c'è un tentativo di scagionare. Kagame cerca di far sembrare che le tensioni attuali sarebbero solo sintomo di un male più profondo, indipendentemente dalla sua azione. Tuttavia, nessun osservatore serio può ignorare il ruolo attivo che Kigali sta svolgendo nella destabilizzazione della RDC orientale da quasi trent'anni, sia attraverso il sostegno dell'M23, lo sfruttamento delle risorse o il mantenimento di un clima di insicurezza.

Parlare di un "vulcano" permette a Kagame di adottare la posa di una vittima minacciata o di un attore responsabile che cerca di prevenire un disastro. In realtà, è un modo intelligente per giustificare un interventismo aggressivo e presentare le sue azioni come semplici misure difensive. Qui c'è tutta l'irresponsabilità politica del leader ruandese: manipolare i simboli per fare una politica espansionista e destabilizzante.

Questo discorso non riguarda solo l'opinione congolese o internazionale. Parla anche dall'interno del Ruanda, dove Kagame ha da tempo mantenuto l'idea di un paese costantemente minacciato dall'esterno.

Questa retorica serve a restringere i ranghi, soffocare l'obiezione e presentare il suo potere come indispensabile alla sopravvivenza nazionale. Ma è un gioco pericoloso: giocare con l’immagine di un vulcano significa anche riconoscere – forse senza volerlo – che la regione è sull’orlo di un’esplosione.

Ed è lì che sta la contraddizione centrale. Kagame denuncia un vulcano, ma da anni alimenta la lava. Alimentando le tensioni, sostenendo i gruppi armati, sfruttando le colpe di un fragile vicino, contribuisce direttamente all'instabilità che sostiene di temere. L'irresponsabilità, quindi, non è solo a parole, è nei fatti.

La storia dimostra una semplice verità: chi calpesta un vulcano spesso finisce col rimanere preso dalle sue fiamme. Kagame può ancora negare, dirottare e accusare. Ma il vulcano politico che evoca potrebbe un giorno rivoltarsi contro di lui, non per vendetta, ma nella logica stessa delle dinamiche che alimenta. Il potere costruito sulla paura, la manipolazione e l'interferenza cede sempre sotto il proprio peso.

Il vero vulcano in questa regione dei Grandi Laghi non è una misteriosa fatalità che emerge dal suolo. È il risultato di un sistema politico che si rifiuta di riconoscere la propria responsabilità e continua a giocare con l'instabilità come strumento di dominio. E nessun leader, anche il più abile, può sfuggire all'infinito alle conseguenze di tale sconsideratezza.


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