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A cento chilometri dal Vaticano
di
Rinaldo Battaglia *
Per la serie: 'prima delle foibe' nella ex-Jugoslavia (l'anno prima di quelle del settembre 1943).
Il campo di Fraschette di Alatri, vicino a Frosinone, fu reso operativo da ottobre ‘42 fino alla liberazione da parte degli Alleati nell’aprile ‘44. Richiesto da Mussolini per i prigionieri russi, finì per raccogliere solo civili greci, albanesi e soprattutto slavi, provenienti in buona parte dal campo di Melada (Molat).
Si raggiunsero anche i 5.500 deportati.
Resta famoso per le pessime condizioni generali e igieniche delle 174 baracche. Assoluta la carenza di viveri, vestiari e medicinali. Quel poco che i prigionieri avevano addosso era solo quello che erano riusciti a portarsi da dove provenivano. E se era Melada era nulla.
Ma soprattutto è conosciuto dagli storici per la malvagità dei carcerieri sulle donne e sui bambini: malvagità contro cui lottò aspramente anche il vescovo di Frosinone, Monsignor Edoardo Facchini, grande rappresentante del Vangelo, molto più del suo diretto Superiore di Roma. Sebbene il campo fosse solo a 100 km dal Vaticano. Ma un piccolo Vescovo sentì il dovere di intervenire, il Grande Papa preferì dormire e pregare da solo a San Pietro.
Dopo la liberazione e la caduta del nazifascismo, il campo venne usato per raccogliere esuli giuliano-dalmati in fuga dal regime di Tito, oltre che altri profughi da altri paesi dell’Est. Tra questi anche il famoso calciatore ungherese Laszlo Kubala, prima di giocare nel grande Barcellona.
Il campo è stato poi lasciato andare in abbandono. Non era utile alla memoria. Solo di recente alcune associazioni partigiane e cattoliche si stanno adoperando affinché lo si ricordi. Tra le amnesie di tutti. Tra le colpe di tutti.
Mi vien voglia di rubare le parole ad Henry Louis Mencken, un famoso saggista americano ai tempi – pensate – di F.D. Roosevelt: «Ogni persona decente si vergogna del governo sotto il quale vive».
Che dire?
Serve parlare a tutti, serve spiegarlo bene ai nostri figli e ai figli dei nostri figli.
Serve ricordare. È un dovere, ricordare.
Aggiungo che nelle schede di allora, se si analizzano le date di nascita dei deportati (1933,1936,1941,1942), si riscontrano molti bambini. Crimine su crimine.
Da vergognarsi di essere figli di quell’Italia. Almeno, io sì. Non so gli altri.
1° dicembre 2025 - 83 anni dopo - liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Terza Parte” - Amazon – 2025
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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