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01 dicembre 2025
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Attacchi a Francesca Albanese: una riflessione
di Paolo Mossetti

Penso di non essere accusabile di cerchiobottismo:
ho difeso pubblicamente Francesca Albanese fin da quando due anni fa è finita nel mirino di gruppi di pressione pro-Netanyahu e della galassia Puglisi;
ho fatto diventare virale la vicenda indegna delle sanzioni, saltata e piè pari da tutti i podcaster progressisti di successo e dai divulgatori centristi di questo Paese (e anche da tanti lavoratori culturali che il Medio Oriente non lo sfiorano per evitare rogne, o perché hanno un libro in uscita o un editore particolarmente suscettibile, etc.);
ho ripetutamente cercato di contestualizzare la sua conversione da esperta ad attivista full-time come frutto di una radicalizzazione indotta dalle enormi pressioni esterne, e soprattutto dalla mancanza in Italia di una casa politica socialdemocratica dove non ci si debba affidare a influencer e madonne per far ampliare il dicibile sulla Palestina.

La peggiore versione di Francesca Albanese resta più coraggiosa e meno pericolosa della migliore versione dei suoi nemici.

Ma finite le premesse va detto - con affetto immutato - che da troppe settimane FA avrebbe bisogno di qualcuno che se la prenda sotto braccio e la consigli meglio. Che la convinca ad astenersi il più possibile dall'intervenire e persino a scomparire per un po', per il suo stesso bene.

Frasi come quella sul "monito" alla stampa non sono solo "gaffe", "uscite" un po' così, o un problema comunicativo, ma segnalano invece una deriva "orsiniana" (o peggio, "fusariana") fatta di mitomania egoriferita, uso caotico dei social e inadeguatezza all'arena politica.

Pur con tutte le scusanti che di nuovo le riconosciamo (le pressioni, le distorsioni, etc.) questo crea un mix distruttivo: per lei e per chi la segue. Possiamo provare a occultarlo, il problema, o metterlo su un gradino più basso delle nefandezze del mainstream intellettuale italiano, ma ci sta comunque costringendo a perdere troppo tempo su polemiche su cui non dovremmo perdere tempo, e a fare gli straordinari per produrre una quantità irrealistica di toppe.

Attorno a FA c'è un esercito di "liberali bava alla bocca" (cit. Michele Boldrin) pronti ad accoltellarla al minimo inciampo? Di giornalisti che se la sono legata al dito da due anni per la ripoliticizzazione collettiva su Israele-Palestina con cui sono stati costretti a confrontarsi? Certo, ma proprio per questo va criticato chi, accumulato un enorme capitale reputazionale su una questione tornata popolare dopo decenni di oblio, lo sperpera rinunciando alla misurazione delle parole. Sostanzialmente autosabotandosi.

E questo fa male proprio perché FA era riuscita là dove altri rapporteur ugualmente perseguitati avevano fallito: conquistandolo, davvero, il mainstream.

Le cittadinanze onorarie forse sono un rituale scialbo, che include parecchio virtual-signalling, ma il fatto che quelle a FA fossero state conferite anche da un PD che nel suo albero ideologico ha alcuni tra i luogocomunisti su Israele più radicali e intrallazzoni era in qualche modo una vittoria significativa, nel campionato per ampliare il dicibile.

La nostra giurista tornerà a parlare in campus stracolmi e a capeggiare comizi seguiti da milioni di utenti online? Sì, ma quel territorio era già suo. Erano già roba sua, gli outsider dell'informazione, gli studenti e gli attivisti mobilitati da tempo su quel tema.

Sarebbe stato importante, superando certi muri, la possibilità ad esempio di andare a parlare da Fazio una volta a settimana - magari su argomenti prestabiliti col conduttore terrorizzato nei camerini - e forse pure quella di tenere in pugno una parte importante del centrosinistra affinché non cedesse alla restaurazione in corso (il ddl Delrio di cui nessuno parla che vorrebbe rendere pressoché impossibile qualsiasi critica irrazionale o malevola a Israele è solo un tassello di una tendenza generale).

Così non sarà, e la "cancellazione" in certi piani che sarebbero stati strategici mi sembra irreversibile, ormai.

Dunque: nessun passo indietro e nessun pentimento sulla difesa di una studiosa armata di nient'altro che delle sue parole (anche se adesso, che non si parla più di Kirk, le parole tornano "violenza" per la brigata liberale), una studiosa che ha fatto un lavoro encomiabile di divulgazione basato su concetti e premesse convalidati anche da altri studiosi rispettabili, e per questo presa di mira con modalità violente e preoccupanti (anche da molti opinionisti che oggi romanticizzano il ruolo della stampa democratica).

Nessuno spazio al conformismo reazionario che non vede l'ora di togliersi sassolini politici dalle scarpe.

Ma anche tanta, tanta, tristezza per i "te l'avevo detto" che sono stati regalati agli astenuti sui temi "divisivi", agli intellettuali che non si sono sporcati, che si sono fatti dettare i tempi dai divulgatori centristi di cui sopra (perché "è un guazzabuglio irrisolvibile", perché "hanno tutti torto" e "non ne vale la pena", eccetera eccetera).

Esistessero veri spazi socialdemocratici organizzati e capaci di guidare la comunicazione, molti rischi politici e attivisti allo sbaraglio verrebbero evitati. Esisterebbero forse anche migliori consiglieri di quegli intellettuali. La sacrosanta critica allo status quo verrebbe fatta con una strategia, e non lasciata ai nichilisti.

Solidarietà ai giornalisti de La Stampa, quindi, e per chi nonostante tutto difende gli spazi di agibilità democratica anche degli intellettuali che non ci piacciono. E avanti con un copione da Eterno Ritorno dell'uguale che in tanti avevano pronto nel cassetto.

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