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25 novembre 2025
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Espulso in Egitto dove è perseguitato, per le sue opinioni
di Rita Rapisardi

Quello che sta succedendo a Torino a Mohamed Shahin è gravissimo.

Un uomo di pace e di dialogo, così è descritto da quanti lo conoscono, l’imam della moschea di via Saluzzo. L’uomo nella notte di due giorni fa è stato prelevato dalla sua casa, per essere espulso dal territorio italiano, per «motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo», «un’oratoria» con cui «ha difeso i terroristi di Hamas e legittimato lo sterminio di inermi cittadini israeliani commesso il 7 ottobre».

La sua colpa sarebbe quella di aver detto al microfono, durante una manifestazione del 9 ottobre, che il “7 ottobre è stata una reazione”, “e che violenza lo sono state le guerre prima e il genocidio”, frasi riportate da un articolo de La Stampa e successivamente diventate motivo per un'interrogazione parlamentare da parte di Augusta Montaruli, da lì il provvedimento firmato da Piantedosi. Shahin ha poi successivamente dichiarato all’Ansa che non è vero che giustifica il 7 ottobre, ma va visto associato agli anni di violenze prima di quella data.

Ora l’uomo che per 12 ore è risultato scomparso, senza che gli avvocati e la famiglia, la moglie e due bambini, sapessero dove si trovasse, è detenuto nel Cpr di Caltanissetta, nonostante il centro di Torino non fosse al completo, per gli avvocati è difficile difenderlo e per i cittadini sostenerlo. Chi lo giudicherà non sa niente di quest'uomo.

Shahin di origine egiziana è un aperto contestatore del regime di Al Sisi, perseguitato nel suo paese, ha chiesto ora asilo politico, che probabilmente gli verrà negato. “Se venisse espatriato finirebbe in galera, torturato e ucciso, come Giulio Regeni”, denunciano rappresentanti di Avs, M5S e Pd, la chiesa Valdese, l’Anpi, movimenti cittadini e centinaia di persone commosse e in lacrime, che si sono incontrate ieri davanti alla Prefettura.

Attivo in questi due anni in sostegno alla Palestina, Shahin è incensurato, non ha mai ricevuto denunce (a parte un blocco stradale a maggio in cui parteciparono migliaia, ma stranamente colpì lui) è ricordato per aver aperto la sua moschea a tutti, ha parlato negli anni nelle scuole, nelle chiese e in sinagoga, numerose solo le testimonianze su di lui anche sul web. Nel quartiere di San Salvario questi centri religiosi sono distanti pochi metri e la convivenza è pacifica e c'è grande collaborazione.

Mai una parola violenta, anzi in piazza, per chi a Torino le conosce bene (posso dire di avere vista qualcuna) è sempre stato quello che andava a discutere con la Digos, tant'è che lo conoscono tutti, per evitare scontri, e teneva a bada i giovani ragazzi più frizzanti.

L'idea che una persona così ben inserita nella società, che rischia la vita nel suo paese di origine, sia espulsa in modo arbitrario per fantomatici problemi di ordine pubblico e terrorismo, con una chiara mossa politica per colpire il movimento per la Palestina torinese, è pericoloso.

Colpito per non avere il passaporto giusto, Shahin di cui può piacere o meno quella frase, è di fatto espulso per un reato di opinione, un reato degno delle dittature fasciste, non di uno stato di diritto.

Oggi a lui domani a chiunque, come si auspica la legge proposta dalla maggioranza, per cui gli italiani di origine straniera saranno comunque italiani di serie B, cacciabili a piacimento.

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