Senza più speranza
trad. di Antonella Salamone

Non chiedetemi di avere speranza, non di nuovo.

Oggi ho dovuto abbracciare uno dei miei amici più cari mentre piangeva per il suo amato zio, martirizzato.

E non sono nemmeno riuscito a stare con lui a lungo, perché il pronto soccorso era stracolmo: bambini, donne, corpi dilaniati, ferite che non sapevamo nemmeno da dove cominciare.

Pochi minuti dopo, ho controllato le notizie locali e sono andato nel panico quando ho visto che un'altra casa era stata attaccata, e ho pensato che fosse la famiglia di mio zio. Si è rivelata essere la casa di un parente di mio zio.

Ero esausto dal mio turno mattutino e finalmente pronto a riposare, quando i bombardamenti aerei hanno colpito il mio accampamento.

Le ambulanze si sono precipitate una dopo l'altra, trasportando più feriti di quanti potessimo mai curare.

Per ore, fino a questo preciso istante, ho visto bambini, donne e ragazzi, di nuovo fatti a pezzi. Tutti urlavano di dolore, vomitavano sangue, crollavano a terra con il passare dei minuti.

Un giovane è arrivato con il sangue che gli colava dai polmoni, dall'addome, persino dall'urina.

Ho sentito qualcosa di solido sotto la pelle del suo addome, all'inizio non ero sicuro di cosa fosse. Ma poi ho capito: un grosso frammento di scheggia, entrato dalla schiena e depositatosi appena sotto la pelle.

Come può qualcuno chiedermi di avere speranza, quando la mia gente è lasciata a sanguinare e soffrire questo, senza fine, in balia di coloro che credono di poter punire gli innocenti quando vogliono.

Sono entrato nella stanza e ho iniziato a urlare contro la telecamera, disperato perché il mondo mi sentisse. Ma in fondo, sapevo che non sarebbe importato, perché nulla sarebbe cambiato.

Ed eccomi qui, a scrivere questo per sfinimento, sapendo che probabilmente non ha senso. Lo faccio da centinaia di giorni e non ho salvato una sola vita.

Dr. Ali' Tahrawi

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