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30 ottobre 2025
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Docufilm con protagonista Fatima Hassona, uccisa da Israele
di Rossella Ahmad

Anche ieri sera ho versato la dovuta dose di lacrime.

Oh Signore, dacci oggi il nostro pianto quotidiano che rimuova anche solo per un po' il groppo che ci trafigge la gola da due anni.

Avevo appena visto il trailer del film-documentario "Put your soul on your hand and walk", della regista iraniana Sepideh Farsi, presentato lo scorso maggio al festival di Cannes, sezione ACID, relativa alla diffusione del cinema indipendente.

Lo ricorderete: alla presentazione del documentario avrebbe dovuto partecipare la fotoreporter palestinese Fatima Hassona, protagonista del docufilm. Lo aveva promesso alla regista: Verrò a Cannes, ma solo se mi sarà concesso di fare ritorno a Gaza. Non voglio andarmene.

Se ne andò, invece, ed a Cannes - il suo "viaggio da sogno", così lo aveva definito - Fatima non giunse mai.

Fu uccisa da un bombardamento israeliano un mese prima, il 16 aprile di quest'anno., esattamente il giorno dopo l'annuncio che il documentario di cui era protagonista era stato selezionato per il Festival del Cinema. L'attacco missilistico fu deliberato, ed indirizzato specificatamente al secondo piano della costruzione in cui alloggiava la famiglia della fotoreporter.

"Il giorno in cui morirò, voglio una morte rumorosa", aveva detto.

E ciò avvenne. La sua uccisione fu commemorata dalla presidente della giuria di Cannes, Juliette Binoche, con un commosso messaggio sull'arte, che resta come potente testimonianza di vite e sogni spezzati.

L'idea del documentario su Gaza dopo il sette ottobre venne alla regista Farsi mentre era impegnata nella presentazione del suo film The Siren, ambientato nell’Iran del 1980, all’inizio dell’invasione irachena della regione iraniana del Khuzestan – evento vissuto da lei in prima persona durante l’adolescenza.

Decisa a raggiungere Gaza ed impedita dal farlo - ogni via di accesso era preclusa - sentì parlare del lavoro di documentazione di Fatima Hassona, ed entrò immediatamente in contatto con essa grazie ad un gruppo di rifugiati palestinesi in Egitto.

Da allora, si susseguirono le videochiamate tra le due donne. Una storia di amicizia epistolare e di potente dolore sullo sfondo di un genocidio reale, fatta di connessioni distorte e spesso interrotte, messaggi vocali alternati ad immagini di distruzione. La guerra ad un popolo in trappola, documentata con rigore fino alla morte, reale anch'essa, della protagonista.

Tutto il film-documentario si svolge in questa maniera, con la telecamera perennemente puntata su un cellulare e sul volto sorridente di Fatima. Un sorriso reso inestinguibile dalla consapevolezza che l'orrore che essa stessa documentava giorno per giorno non avrebbe sconfitto l'animo dei palestinesi. "La nostra identità è per sempre", scrisse.

Il film di Farsi resta come testimonianza viva di "un'esistenza ordinaria e straordinaria" - quella di Fatima, certo, ma anche dell' intero popolo palestinese che di essa è l'emblema.

Un popolo che non vuole soccombere all'Apocalisse e che viene ucciso il giorno dopo aver realizzato il suo sogno.

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