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14 ottobre 2025
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Sarà stata la droga, invece è possesso
di Elisa Fontana

Gentile sindaco del mio ameno paesino,

ho appena ascoltato una sua intervista ad una radio locale a proposito dell’ennesimo tentato femminicidio avvenuto ieri nella nostra comunità, ai danni di una giovane donna da parte dell’ex compagno.

Non le nascondo che le sue dichiarazioni mi hanno lasciata basita, perché la sua legittima indignazione per quel che è accaduto e che speriamo tutti si concluda “solo” con un ferimento, è tracimata in un confuso e fuorviante atto d’accusa generico e assolutamente non condivisibile.

Lei ha dato la colpa di questo ennesimo atto vigliacco alla droga, perché non è possibile che una persona normale infierisca su un corpo in quella maniera se non è preda di sostanze stupefacenti. Cito a memoria, ma la trasmissione è a disposizione di tutti.

E al perplesso intervistatore che le ha chiesto se lei avesse notizie sul fatto che il feritore avesse agito sotto la spinta degli stupefacenti ha detto “io non lo so, io non credo che una persona normale gelosa per quanto possa essere, possessiva per quanto possa essere trovi la forza di poter sviluppare un’azione così violenta dentro un corpo umano senza che ci fosse qualcosa che ti fa scatenare l’aggressività…”.

No, gentile sindaco lei parte proprio da presupposti inesistenti e sbagliati: le persone gelose e possessive non sono affatto normali, non è un raptus che le spinge ad uccidere e men che meno un raptus indotto dalla droga.

E’ possesso, è la dichiarazione definitiva che tu sei mia e non ti permetto nessuna autonomia, men che meno quella di separarti da me, lavorare e farti una tua vita. E no, la gelosia non è prova d’amore, non è “tenerci” a quella persona, è spietato controllo di una cosa (cosa, badi bene) sua.

Spiace dover puntualizzare ancora questi aspetti che dovrebbero ormai essere introiettati dentro ciascuno di noi, soprattutto da chi ha responsabilità amministrative, soprattutto in una comunità che ha già visto compiersi due femminicidi, nella speranza che questo terzo rimanga solo un ferimento. Drogati anche gli altri due?

Capisce bene che non si può rispondere ad una tale piaga in un modo così semplicistico, perché significa riportare la questione dei femminicidi e la tutela delle donne indietro di decenni. Cosa diciamo a queste donne? Che non devono imparare a guardarsi da compagni che le vogliono controllare e che vogliono possedere anche i loro pensieri, perché tanto dovesse accadere qualcosa è colpa della droga?

“Perché poi si collega tutto”, ha detto lei nell’intervista in una confusa equazione fra ordine pubblico, comunità più o meno serene, droga. Le comunità non sono mai serene, possono esserlo ad uno sguardo superficiale, ma avere all’attivo già tre femminicidi in una comunità di 5 mila abitanti smentisce tanta serenità.

E infine “io non so che cosa serve, ma dobbiamo prevenire questi fatti”. Gentile sindaco, il tema è enorme, ma dopo anni e anni non siamo per fortuna al “non so cosa serve”.

Serve un enorme sforzo culturale, servono insegnanti preparati che non si girino dall’altra parte davanti ad atteggiamenti fuori luogo, che insegnino una educazione sentimentale e civica fin dall’asilo, occorre coinvolgere le famiglie, occorre ascoltare le donne e dare loro una possibilità di uscita da un clima malato.

Occorre che le istituzioni siano presenti, perché non possiamo cercare colpevoli evanescenti quando la realtà ci incalza. Altrimenti la lotta alla violenza contro le donne si riduce solo ad installare una panchina rossa in qualche piazzetta.


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