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Parenzo e la paura della verità: difendere Francesca Albanese dovere morale
di Soumaila Diawara
David Parenzo, come spesso accade, non perde occasione per ricordarci cosa succede quando l’informazione rinuncia alla verità e si piega al conformismo morale. Il suo commento sul riconoscimento a Francesca Albanese non è solo fuori luogo, è l’ennesima dimostrazione di un giornalismo che ha smarrito la dignità, rifugiandosi nella caricatura della propaganda.
Parenzo parla di “figura divisiva” riferendosi a una relatrice speciale dell’ONU che, dati alla mano, denuncia violazioni sistematiche dei diritti umani nei Territori occupati, ma non dice una parola sulle migliaia di civili palestinesi sterminati, sulle case rase al suolo, sugli ospedali bombardati e sui giornalisti assassinati. No, per Parenzo il problema è chi osa dirlo, non chi lo fa. È l’eterna logica dei complici: attaccare chi denuncia, non chi opprime.
La sua domanda “dove fosse Francesca Albanese prima del 7 ottobre” è tanto meschina quanto rivelatrice. Albanese era dove è sempre stata, a denunciare, documentare e difendere il diritto internazionale. Ma Parenzo preferisce insinuare, distorcere e suggerire colpe invisibili.
È la stessa retorica con cui si tenta di ridurre al silenzio ogni voce scomoda, ogni coscienza non allineata. Curioso, però, che chi pretende di conoscere il Medio Oriente ignori volutamente 16 anni di blocco illegale su Gaza, 75 anni di occupazione e decenni di apartheid certificata da Amnesty e Human Rights Watch.
Parenzo accusa Albanese di “ineleganza” per aver lasciato uno studio televisivo. No, signor Parenzo, l’ineleganza è continuare a sorridere mentre un popolo viene sterminato, l’ineleganza è spacciare per equilibrio il silenzio davanti a un genocidio. Francesca Albanese ha avuto la schiena dritta dove troppi piegano la testa, ha avuto il coraggio di dire “basta” in faccia a un sistema mediatico che pretende obbedienza.
Padova dovrebbe essere orgogliosa di riconoscere in Francesca Albanese una cittadina onoraria del coraggio e della coscienza. In un Paese in cui molti giornalisti si limitano a ripetere i comunicati di Tel Aviv, lei ha scelto di difendere il diritto, non la convenienza. Il suo lavoro è documentato, trasparente e fondato su rapporti ONU e testimonianze dirette. Non è “divisiva”, è scomoda, come ogni voce che rifiuta di tacere davanti all’ingiustizia.
Parenzo parla da dentro un sistema che ha paura della verità. Francesca Albanese, invece, parla da dentro la Storia, quella che un giorno giudicherà chi oggi tace, insulta o distorce. Il sigillo di Padova non è fuori luogo, è un piccolo atto di giustizia in un mondo che ne ha disperatamente bisogno.
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