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12 ottobre 2025
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American Holocaust
di Rinaldo Battaglia *

Un fotografo americano, Garry Winogrand, oltre 60 anni fa l’8 giugno del 1963, pubblicò nella rivista ‘Illustrated London News’ una sua foto e due righe di articolo. Informò i suoi lettori che a New York, nello zoo principale del Bronx, precisamente tra la gabbia occupata agli oranghi e quella riservata ai gorilla di montagna, esisteva uno spazio nuovo, che meritava assolutamente una visita.

Ma era una gabbia particolare ed anomala, con una grande scritta ancora più particolare ed anomala: “Stai guardando l’animale più pericoloso del mondo. È l’unico, di tutti gli animali mai vissuti, che può sterminare (e l’ha già fatto) intere specie di animali. Ora ha il potere di distruggere ogni forma di vita sulla Terra”.

E dietro quelle sbarre non c’era nessuna bestia esotica o di specie rara: solo uno specchio. Uno specchio tra le sbarre di una gabbia in uno zoo per animali.

Fece molto scalpore e persino qualche ben pensante si scandalizzò. Eppure, solo pochi mesi prima si era rischiata la guerra nucleare tra Usa ed Urss, per la crisi di Cuba, e solo pochi mesi dopo un attentato rivelò al mondo che anche i Presidenti, magari se e perché vogliosi di cambiare le regole del mondo, potevano essere uccisi come animali al macello.

E che quella particolare gabbia fosse in America e negli anni delle grandi lotte razziali per i diritti dei più deboli aveva un forte significato umano, politico e anche storico. Perché quella terra, quel ‘nuovo’ continente, era stata sin dal giorno della sua scoperta – chiamiamola così, come a scuola ci insegnavano da piccoli - teatro di uno dei più grandi olocausti mai successi al mondo. Per numero peggiore del genocidio nazista sugli ebrei, anche se - a differenza di quello sui ‘nativi americani’ - la Shoah era stata sulla carta studiata, progettata, pianificata per tempo da criminali teorie di pochi, piano piano fatte assorbire alla collettività e poi mostruosamente realizzate nei fatti da molti.

Oggi è il 12 ottobre e 533 anni fa, nel lontano 1492, si racconta che Cristoforo Colombo abbia scoperto l’America o, meglio, a suo dire l’India, come convintamente credeva. È una delle date in cui si divide la Storia: prima era Medio Evo, poi la modernità. Prima i secoli bui, poi il progresso e una corsa a crescere, con ritmi velocissimi, come non mai fatto fino allora.

Certo: il progresso scientifico, tecnologico, culturale, sociale è stato innegabile. Di anno in anno, di secolo in secolo. Meno sotto l’aspetto umano, quello che più conta. Perché la figura che si vedeva in quella gabbia dello zoo del Bronx non è progredita. Salvatore Quasimodo scriveva nell’immediato ultimo dopo-guerra che l’uomo è ‘ancora quello della pietra e della fionda “con la ‘scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo”, perché continua ad uccidere i suoi simili, “ancora come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta”.

Quanto successe nelle nuove terre dopo quel 12 ottobre 1492 è lo specchio di questa realtà, sin da quel giorno, così bene ricordato in tutti i testi di scuola e come da bambini ci hanno insegnato le maestre. Magari – anzi solamente – fermandosi al lato ‘A’ del disco, quello della parte della gloria e del successo, lasciando il lato ‘B’ quelle delle uccisioni di massa, quelle catastrofi dirette e indirette sui nativi americani tra le cose da non dire. Perché faceva e fa male dirlo.

Pensate: sul genocidio dei nativi americani, ancora adesso dopo cinque secoli, gli storici stanno trovando ancora nuove verità, nuove documentazioni e la cosa – talvolta – provoca ancora reazioni negative ed incontrollate, magari con la distruzione di statue di Colombo o di ricordi di quella spedizione.

Neanche 20 anni fa, solo nel 2006, sono stati scoperti – il termine è corretto – alcuni resoconti di Francisco de Bobadilla, prima mai studiati e interpretati. Bobadilla, contemporaneo di Colombo, era stato mandato quale inquisitore reale dai sovrani di Spagna, Isabella di Castiglia e non solo, per verificare e controllare lo stato delle cose sulla realtà americana, dopo la scoperta di quella terra. Ovviamente tutto in ottica economica e finanziaria, per capire come, e in quanto tempo, l’investimento spagnolo di quelle spedizioni sarebbe stato coperto, recuperato e premiato.

Bobadilla era una persona molta qualificata, stimata non solo dai reali e non a caso sarà dal 1500 al 1502 nominato governatore delle Indie, ossia di quei primi territori allora chiamati generalmente e non casualmente ‘Hispaniola’ o meglio La Española. Già subito così etichettati col marchio del nuovo padrone, come si fa con gli animali da macello, prima che altri ti anticipino.

In uno di questi resoconti, trovati tra vari altri documenti storici nell'Archivio Nazionale di Spagna di Simancas, ‘l’ispettore’ Bobadilla registrò con abbondanza di dati e di cifre come, già dal primo dei quattro suoi viaggi, anche Cristoforo Colombo usasse con regolarità e continuità, sulla popolazione nativa, forme di tortura, arrivando anche alla ‘mutilazione’ degli indigeni. Metodi classici di qualsiasi invasore su nuove terre appena conquistate e metodi classici usati da qualsiasi colonizzatore.

Bobadilla registrò nelle sue 48 pagine di resoconto (rafforzato da testimonianze di ben 23 persone) anche le conseguenze e i problemi che questo ‘modus operandi’ provocò inevitabilmente nelle nuove terre e di come diventò un segnale per i suoi uomini (e ai successivi coloni) o, meglio, una lezione di scuola di ‘vita vissuta’ sulla forma più idonea per ’domare’ i nativi.

Bobadilla racconta, ad esempio, in questo ultimo resoconto, che Colombo punì un indigeno, colpevole di essersi appropriato di alcuni frutti (destinati ai coloni), da alcune piante, per mangiarseli. Quell’atto così naturale fu considerato un ‘ grave furto’: al ‘ladro’ fu fatto tagliare orecchie e naso e quindi venduto come schiavo.

Lo storico Giles E. H. Tremlett (in ‘Lost document reveals Columbus as tyrant of the Caribbean’ – pubblicato nel 2006) studiando quei resoconti di Francisco de Bobadilla, scoprì che lo stesso Colombo si congratulò con il fratello Bartolomeo per aver "difeso la famiglia" allorché quest'ultimo costrinse una donna a sfilare nuda per le strade, prima di reciderle la lingua, come punizione per aver sostenuto che Colombo era di umili origini e per aver – peggio - osato rifiutare ‘avances particolari’ del fratello.

Nello stesso documento si descrive, inoltre, come Colombo abbia sterminato – come un normale tiranno - una buona quantità di nativi per mantenere il controllo dell’Hispaniola, che per sette anni fu da lui stesso governata per conto del Re di Spagna. Più volte, oltre a reprimere ed uccidere molti di loro, fece sfilare per le strade i loro corpi smembrati con l'intento di scoraggiare future ribellioni.

Ma non era una novità ovviamente. Ben prima della scoperta del resoconto di Bobadilla del 2006, lo storico statunitense David E. Stannard, nel suo saggio ‘American Holocaust’ (Olocausto Americano) aveva bene spiegato e chiarito come la scuola di Cristoforo Colombo, mirata al massimo sfruttamento dei nativi e delle risorse naturali delle terre scoperte, fosse stata fondamentale per i colonizzatori successivi, i conquistadores spagnoli. Fu lì che con forza che si parlò di genocidio dei nativi americani, definendolo una catastrofe demografica, un vero e proprio olocausto, che iniziò alla fine del XV secolo e continuò fino alla chiusura del XIX secolo.

Ad oggi, a 5 secoli dalla scoperta dell’America, possiamo sostenere che complessivamente i nativi americani che morirono, in seguito all'arrivo dei colonizzatori europei, siano stati tra i 55 e i 100 milioni. Ovviamente gran parte dovuti anche per cause ‘indirette’. Prima fra tutte l’arrivo di malattie ed epidemie prima sconosciute e dove i nativi erano totalmente ‘scoperti’ e privi di adeguati anticorpi. Ma anche le guerre di conquista, le perdite di territori fertili che davano sostentamento prima alla popolazione locale (caso, ad esempio, dei pellirossa del nord America) ma anche stragi e stermini di massa, considerando quelle popolazioni di ‘razza inferiore’.

Come non bastasse, dove non arrivava l’ideologia del potere politico e arrivava l’ipocrisia della religione, usata dai colonizzatori per giustificare crimini, massacri e schiavitù. Con l’obiettivo di convertire al cristianesimo quelle popolazioni, si permetteva ed accettava qualsiasi azione disumana, il cui scopo principale - se non unico - era quello di impossessarsi delle ricchezze dei nativi e appropriarsene in fretta. Hitler secoli dopo non si comporterà diversamente con gli ebrei europei, e – perché non ricordarlo – anche il nostro Mussolini, soprattutto dal 17 novembre 1943. La religione usata quale motivo di morte sistematica e continuata. A proprio esclusvio vantaggio.

Anni fa, fece scalpore uno studio di una intellettuale cilena, la storica e psicologa Karla Lobos dell’Università di Concepción, dove affermava che ‘il Regno dell'orrore di Colombo è stato uno dei capitoli più oscuri della nostra storia’.

E parlava, riprendendo documenti dell’epoca, come anche lo stesso Colombo si fosse arricchito anche con la schiavitù sessuale delle giovani donne native, vendute ai coloni – talvolta per pochi denari, talvolta per molto - soprattutto “le bambine di 9-10 anni perché erano le più desiderate dai suoi uomini”. Lo scopritore del nuovo continente, infatti, a sua penna nell’anno del Signore 1500 – sono parole di Karla Lobos - scrisse nel suo diario: "Cento castelli sono così facili da trovare per una donna quanto per una fattoria, e questo è molto generale e ci sono molti trafficanti che cercano ragazze; quelle dai nove ai dieci anni sono ora richieste." In altre parole, per alcune bambine non c’è prezzo.

E così si documenta e si riporta come abbia “costretto questi pacifici nativi a lavorare nelle loro miniere d'oro fino a che non morirono di esaurimento. Se un lavoratore "indiano" non consegnava tutta la sua quota di polvere d'oro prima della scadenza di Colombo, i soldati gli tagliavano le mani e le legavano al collo per mandare un messaggio. La schiavitù era così intollerabile per questa dolce e gentile gente dell'isola che in un momento cento di loro si sono suicidati in massa.”

Per fortuna, vien da dire, era uomo di chiesa, mandato lì dalla Cattolicissima Isabella di Castiglia, profondo conoscitore della Bibbia e del Vangelo di Gesù. Tant’è vero che Colombo si era sempre “rifiutato di battezzare i nativi di La Española” - sue parole - finchè non avesse visto la loro ‘conversione’. La legge cattolica lo necessitava e lui, da fervente religioso, ne tenne in rispettoso conto. Meno, invece, il fatto che la nostra religione proibisse anche la schiavitù. Ipocrisia e criminalità allo stato puro.

A detta di Karla Lobos, il peggio per i nativi avvenne dopo il suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo (1493/1496), quando Colombo portò con sé dalla Spagna cannoni e cani da attacco. E quindi si allargarono le pene: se un nativo resisteva ai voleri dei ‘padroni’, veniva posto in schiavitù e se reagiva gli si tagliava il naso o un orecchio. Se da schiavo cercava di fuggire, Colombo lo faceva bruciare vivo. “Altre volte inviava cani da attacco a cacciarli e i cani strappavano le braccia e le gambe degli indigeni che gridavano mentre erano ancora vivi. Se gli spagnoli avessero finito la carne per nutrire i cani, avrebbero usato i bambini arahuachi come cibo”.

Quando gli atti di crudeltà di Colombo arrivarono alle orecchie della corte di Spagna, nell’isola di Hispaniola arrivò, appunto come governatore, Francisco de Bobadilla, che non a caso - raccolte idonee prove - per prima cosa fece arrestare Cristoforo Colombo e i suoi due fratelli, Diego e Bartolomeo, giunti qui solo per arricchirsi in fretta. Li imprigionò e li rimandò in Spagna per essere processati. Ma interverrà la politica e gli interessi della Corona: contro promesse di nuovi tesori e nuove casse di oro, Colombo fu perdonato, purificato e liberato (e Francisco de Bobadilla sostituito nel ruolo di governatore). Molti criminali nazisti e fascisti nel nostro dopo guerra avranno il medesimo trattamento.

Ma non tutti gli uomini di Colombo, erano come il loro comandante. Uno di loro, Bartolomé De Las Casas, “fu così mortificato dalle brutali atrocità di Coloón contro i nativi che smise di lavorare per Coloón e divenne un prete cattolico. Descrisse come gli spagnoli sotto il comando di Colombo tagliavano le gambe ai bambini che scappavano da loro per testare il filo delle loro lame”. Secondo De Las Casas, gli uomini scommettevano su chi, con un solo colpo di spada, poteva tagliare una persona a metà e che più volte sui nativi per fermare le loro reazioni “veniva versato, sulla gente, sapone bollente “. Forse anche olio.

Ricerche di Karla Lobos, documentano che sempre De Las Casas (che continuerà il resto della sua vita cercando di proteggere i nativi indifesi), in un solo giorno ”è stato testimone oculare quando i soldati spagnoli hanno smembrato, decapitato o stuprato 3.000 nativi”.

"Queste disumanità e barbarie sono state commesse davanti ai miei occhi come nessuna età può essere parallela" - ha scritto ancora nei suoi diari De Las Casas - "I miei occhi hanno visto questi atti così strani alla natura umana che ora tremo mentre scrivo."

Gli storici concordano generalmente che prima del 1492 la popolazione dell'isola di La Española probabilmente superava i 3 milioni di abitanti. Ma già 20 anni dopo i nativi non risultavano di più di 60 mila.

Nel 1516, lo storico spagnolo Pedro Martir scrisse: "Una nave senza bussola, grafica o guida, ma solo seguendo le tracce degli indiani morti che erano stati gettati dalle navi dove potevano trovare la loro strada dalle Bahamas a La Española."

Cristoforo Colombo, i fratelli, i figli e la Corte di Spagna tutti si arricchirono in fretta. E Colombo lo fece, anche e soprattutto, con l’uso della schiavitù. Quando morirà il suo ‘lavoro’ fu proseguito dai figli, in particolare Fernando. Lo scopritore delle Americhe, in realtà, fu così anche il primo trafficante di schiavi di quel continente, insegnando e aprendo la strada ad altri. E quando gli schiavi nativi morirono, si allargò il cerchio agli schiavi di altri continenti, all‘Africa per molti aspetti similare alla nuova terra. Per la cronaca, il figlio di Colombo è diventato il primo commerciante di schiavi africani già nel 1505.

Non so se quindi il 12 ottobre sia per davvero una data da festeggiare per l’umanità. Don Marquis scriveva che ‘quando un uomo ti racconta di essere diventato ricco grazie al duro lavoro, chiedigli: Di chi?’.

Parimenti, quando pensiamo al progresso economico avuto in Europa dopo la scoperta dell’America, chiediamoci anche a danno di chi? Sulle sofferenze di quali altri uomini e generazioni? E magari estendiamo il ragionamento anche alle terre dell'Africa, da cui oggi arrivano i barconi di migranti, quelli che ci fanno preoccupare e diventare sempre più 'razzisti'.

E per meglio rispondere, forse, servirebbe prima ricordare quella gabbia particolare ed anomala, tra quella occupata agli oranghi e quella riservata ai gorilla di montagna, dello zoo del Bronx.

12 ottobre 2025 – 533 anni dopo - Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Terza Parte” - Amazon – 2025

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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