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Nobel per la pace meritato da chi ha lottato sotto le bombe
di Rosa Rinaldi
Il Premio Nobel della Pace - se questo premio avesse ancora un senso e se non fosse una semplice espressione delle forze sovrastrutturali che governano il mondo - sarebbe andato ai giornalisti di Gaza, ammazzati a centinaia, o agli operatori umanitari o a chi ha scavato macerie a mani nude per estrarre il corpicino di un bambino (spesso anche di un gattino) rischiando di essere colpito a sua volta.
O sarebbe andato ai volontari che ogni giorno rischiano la vita in Cisgordania per cercare di proteggere i palestinesi dall'assalto dei coloni.
È di oggi la notizia per esempio che il fotoreporter palestinese Wahaj Bani Moufleh è stato sparato dalle forze di occupazione israeliane mentre stava documentando un raid illegale di coloni durante la raccolta delle olive nel villaggio di Beita, nel sud di Nablus.
Il Premio Nobel della Pace - se questo premio avesse ancora un senso e se pace significasse davvero qualcosa - sarebbe andato a chi, come il dottore Al-Bursh o il dottore Abu Safya - hanno pagato o stanno pagando con la vita il prezzo di non aver abbandonato i pazienti.
Il Nobel della Pace sarebbe dovuto andare ai rappresentanti del popolo palestinese, gli eroi che ogni giorno hanno documentato o hanno lavorato durante il genocidio.
Traduco questo bellissimo post di Yahya Alsayed, che possiamo leggere anche in forma metaforica:
"Se potessi dare il Premio Nobel per la Pace a chiunque, lo darei a mia madre.
Si è rifiutata di lasciare la sua casa, anche quando ha avuto MOLTE possibilità di trasferirsi.
È rimasta per proteggere i miei fratelli, le mie sorelle e i loro figli.
È rimasta salda nella paura e nelle difficoltà, nel fragore della guerra e nel peso della perdita.
Ha tenuto stretti i suoi nipoti, li ha tenuti al sicuro e ha dato loro amore quando il mondo non gliene dava.
Mentre altri parlano di pace nelle riunioni e nei discorsi, mia madre la viveva, ogni giorno, in ogni gesto di cura e coraggio.
Mi ha insegnato che la pace non è solo una parola; è una decisione. Un sacrificio.
E ha preso quella decisione più e più volte; per la sua famiglia, la sua casa e la sua gente.
È la mia eroina.
È la mia pace".
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È anche la nostra.
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