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Media non ammettono errori di valutazione su 7 ottobre e Gaza
di Dalia Ismail
Ieri c’è stato un massacro a Gaza e un prigioniero politico palestinese è morto nelle carceri israeliane. Eppure, la maggior parte dei giornalisti ha preferito tornare a parlare del 7 ottobre, ripetendo dati forniti dall’esercito israeliano e ignorando del tutto dettagli come l'uso della direttiva Annibale, dimostrata da inchieste indipendenti.
Non è un caso: chi dice cose diverse dalla narrazione ufficiale non potrebbe proprio lavorare in TV; chi può ancora farlo è perché ha fatto questo compromesso anni fa.
Ma non è solo paura, soprattutto nei casi di chi non va in TV e non lavora in certi circoli.
Molti non riescono ad ammettere di aver sbagliato analisi, di aver parlato troppo presto, o di non essersi informati abbastanza. Per loro, riconoscere l’errore significherebbe mettere in crisi l’immagine che hanno di sé: quella di persone morali, sempre dalla parte giusta.
È un misto di dissonanza cognitiva (il rifiuto di vedere l’incoerenza tra le proprie idee e la realtà) e narcisismo.
Ammettere di aver sbagliato richiede maturità e coraggio, così come focalizzarsi sulle priorità reali e non quelle del mainstream, e così come difendere i più deboli andando contro un intero sistema oppressivo. Ma molti preferiscono continuare a diffondere versioni comode, anche se false, piuttosto che guardarsi allo specchio.
Non si tratta solo di disinformazione, è una forma di fragilità psicologica, un bisogno patologico di avere sempre ragione, anche a costo di negare l’evidenza e di autorizzare indirettamente un genocidio.
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