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Gaza. lager in diretta social
di Sergio Scorza
Gaza è un immenso campo di concentramento. Tutti coloro che negano questa realtà ampiamente documentata, assolutamente inconfutabile, sono oggettivamente, complici di questo orrore che si sta consumando da due anni ai danni della popolazione civile palestinese della Striscia.Tutte le dispute terminologiche, capziose o meno, non intaccano questo nucleo centrale di verità.
IL GENOCIDIO IN DIRETTA SOCIAL
Molto tempo prima che i grandi medua mainstream si accorgessero degli orrori di Gaza, una quantità infinta di immagini e video era apparsa, ininterrottamente, per quasi due anni su social diversi nonostante la sistematica censura applicata da quelli sotto il controllo di Meta. Una gigantesca mole di immagini e video che hanno invaso i nostri dispositivi documentando i bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile, sugli ospedali sulle tendopoli degli sfollati, sulle ambulanze, sulle scuole trasformate in rifugi per gli scampati alle bombe israeliane.
Rapporti medici hanno certificato che i cecchini dell'esercito israeliano mirano con chirurgica precisione alla testa ed al cuore dei bambini e delle bambine. I corpi orribilmente straziati, mutilati carbonizzato di decine di migliaia di civili hanno colonizzato il nostro immaginario levandoci la pace ed il sonno. L'impatto emotivo di quelle immagini è stato devastante per milioni di persone che hanno invaso spontaneamente le
strade e le piazze contro Israele e contro l'inerzia complice degli Stati occidentali.
LA FAME COME TORTURA E COME ARMA DI STERMINIO
Poi, a maggio scorso, Israele ha deciso di escludere l'ONU dalla gestione degli aiuti a Gaza, assegnando l'intero controllo della distribuzione umanitaria alla famigerata Gaza humanitarian foundation (Ghf) che, da allora, è diventato l'unico canale autorizzato per l'ingresso di cibo e medicine nella Striscia.
La decisione del governo Netanyahu, sostenuta dall'amministrazione Trump, ha cancellato il sistema che includeva le agenzie ONU, in particolare l'Unrwa, che da decenni gestiva gli aiuti nei territori palestinesi insieme a decine di ong.
Da quel momento miglia di palestinesi sono stati uccisi o feriti mentre cercavano di raggiungere le provviste.
Poche scorte, rispetto a una popolazione di 2,1 milioni di palestinesi ridotti alla fame. Troppo pochi anche i centri di distribuzione, principalmente concentrati nel Sud della Striscia. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie hanno respinto il nuovo sistema, affermando che Israele sta usando il cibo come arma per controllare la popolazione. Da centinaia, con la GHF i punti di distribuzione del cibo sono stati ridotti a 4 di cui 3 a ridosso della zona di Rafah sotto il controllo militare israeliano. Una scelta che tradisce il piano israeliano per spostare con la forza le persone dal Nord al Sud della Striscia.
Un piano che usa la fame come arma di guerra, di tortura, di sterminio: un crimine di guerra. "Il lager è la fame: noi stessi siamo la fame, la fame vivente”, così scriveva Primo Levi. La fame nei lager descritta da Primo Levi in "Se questo è un uomo" e in altre sue opere, è una condizione estrema di privazione fisica e psicologica, un'esperienza di "fame vivente" che degrada l'uomo, trasformandolo in un essere dominato dalla necessità di sopravvivenza e privato della sua dignità. Levi sottolineava come la fame non è solo mancanza di cibo, ma un elemento centrale della logica di violenza del Lager, che spinge gli internati nei campi di concentramento al limite della loro umanità, a competere per le scarse risorse, a rompere le relazioni sociali.
Al lager non si sopravvive. Per questo Gaza deve essere liberata, subito.
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