 |
Israele paga 7000 euro a post influencer per ripulire la sua azione a Gaza
di Mauro W. Giannini
Oggi Responsible Statecraft ha pubblicato un rapporto investigativo che svela come il governo israeliano stia segretamente finanziando una vasta campagna di influenza sui social media, pagando migliaia di dollari a post a creatori di contenuti occidentali per riciclare la propaganda pro-Israele online, mentre i civili palestinesi continuano a essere massacrati a Gaza.
L'inchiesta, curata da Nick Cleveland-Stout, rivela che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha personalmente appoggiato l'iniziativa, esortando i funzionari israeliani e gli alleati dei media a coordinare i messaggi attraverso influencer pagati.
"Dobbiamo reagire. Come possiamo reagire? Con i nostri influencer. Penso che dovreste parlare anche con loro, se ne avete la possibilità, per quella comunità, sono molto importanti", ha dichiarato Netanyahu in un incontro a porte chiuse venerdì, riconoscendo apertamente la strategia del regime di plasmare l'opinione pubblica attraverso personaggi pagati sui social media.
Secondo i documenti depositati negli Stati Uniti ai sensi del Foreign Agents Registration Act (FARA), il Ministero degli Affari Esteri israeliano ha incaricato Bridge Partners, una società di lobbying e pubbliche relazioni con sede a Washington DC, di gestire l'operazione segreta, nome in codice "Progetto Esther". Il progetto, coordinato con Havas Media Group Germania, prevede un budget di 900.000 dollari, per un periodo compreso tra giugno e novembre 2025.
Al netto dei costi legali e amministrativi, circa 552.946 dollari sono stati stanziati per i pagamenti diretti agli influencer tra giugno e settembre. Con una previsione di 75-90 post a pagamento in tale arco di tempo, ogni influencer potrebbe guadagnare tra i 6.100 e i 7.300 dollari a post, trasformando di fatto i feed dei social media in un campo di battaglia per messaggi a pagamento dello Stato israeliano.
Né Havas né Bridge Partners hanno risposto alle domande dei giornalisti che chiedevano chiarimenti su quali influencer fossero stati assunti o quali linee guida ne regolassero i contenuti.
I documenti dimostrano che l'operazione è stata deliberatamente gestita tramite intermediari statunitensi per nascondere la sponsorizzazione diretta di Israele, consentendo a Tel Aviv di inondare piattaforme occidentali come TikTok e Instagram con narrazioni elaborate dallo Stato, eludendo al contempo le leggi sulla trasparenza.
I co-fondatori di Bridge Partners, Yair Levi e Uri Steinberg, detengono ciascuno una quota del 50% nello studio. Tra i loro consulenti senior c'è Nadav Shtrauchler, ex maggiore dell'Unità Portavoce dell'esercito israeliano, una divisione nota per aver insabbiato i crimini di guerra israeliani e manipolato la copertura mediatica del conflitto.
Come consulente legale, lo studio ha assunto Pillsbury Winthrop Shaw Pittman, uno studio legale statunitense precedentemente legato a NSO Group, la società di spyware dietro Pegasus, che è stata utilizzata per sorvegliare giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani palestinesi.
Il "Progetto Esther" rappresenta una nuova frontiera nella macchina propagandistica di "Israele", che sfrutta la cultura degli influencer occidentali per sterilizzare una campagna che ha ucciso decine di migliaia di palestinesi, per lo più donne e bambini, in quello che gli investigatori delle Nazioni Unite hanno definito atti di genocidio.
Il nome "Esther Project" ricorda il "Project Esther" della Heritage Foundation, un'iniziativa statunitense che mira a bollare i critici di "Israele" come antisemiti o simpatizzanti del terrorismo. Sebbene non sia stato dimostrato alcun collegamento formale, entrambi gli sforzi riflettono una strategia condivisa: criminalizzare la solidarietà con la Palestina amplificando al contempo le voci pro-Israel" attraverso la manipolazione dei media digitali.
Gli analisti avvertono che tali campagne di disinformazione finanziate dallo Stato non solo distorcono la realtà, ma sfruttano anche l'ignoranza del pubblico occidentale, trasformando la cultura popolare e le piattaforme di lifestyle in strumenti di guerra psicologica.
"Dobbiamo reagire", ha detto Netanyahu ai suoi collaboratori, una dichiarazione che, secondo i critici, mette a nudo la dipendenza del governo dall'influenza a pagamento piuttosto che dalla verità per mantenere il sostegno occidentale.
L'inchiesta di Responsible Statecraft offre uno sguardo raro su come Israele stia esportando la sua guerra dell'informazione negli ecosistemi dei social media occidentali, spendendo fondi pubblici per soffocare le voci palestinesi e insabbiare le atrocità a Gaza.
VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU GAZA
 
Dossier
diritti
|
|