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29 settembre 2025
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Tutti gli occhi sulla Flotilla, quindi su Gaza
di Rossella Ahmad

Asserire che parlare della Flotilla oscuri il discorso su Gaza è una contraddizione in termini. Si parla della Flottilla, infatti, perché si parla di Gaza.

La spedizione non è una crociera di nullafacenti nei placidi mari caraibici, come molti asseriscono in un'orgia di disinformazione che è quasi blasfemia pura ed in cui, senza dubbio, vedo la longa manus dell'hasbara sionista.

Non dimentichiamo mai che generare confusione è una delle regole auree del controllo. Mescolare le carte, porre un confine sempre più labile e permeabile tra il vero ed il falso, sicché, nel dubbio, ci si astenga. Dal dire, dal fare, dal pensare.

La Flotilla è diretta a Gaza. Mira a rendere politica un'azione umanitaria, quale è spezzare l'assedio - o perlomeno mostrarne plasticamente l'illegalità - e consentire l'arrivo di viveri nella striscia.

Vuole aprire una breccia, scardinare il muro di omertà che ha circondato la questione del blocco israeliano e lo fa utilizzando un mezzo assolutamente innocuo, che diviene pericoloso per la intrinseca incapacità dei governi di intervenire politicamente mentre un intero popolo viene liquidato con sadismo. Creare connessioni dal basso.

Quando si parla di Flotilla si parla di Gaza, indubitabilmente. Non se ne parla forse nei toni cruenti degli ultimi eccidi - c'è sempre un ultimo eccidio di cui parlare, ma il punto è proprio questo: cosa possa aggiungere alla infinita mole di dolore che tutti abbiamo incamerato in questi due lunghi anni di genocidio parlare dei fiotti di sangue che continuano a scorrere a Gaza, e solo di quelli. Come se il nostro compito si esaurisse nella testimonianza e nella registrazione dei corpi martoriati.

Tutto hanno visto, tutti sanno.
Ciò che è accaduto è già gravissimo, anche se finisse in questo preciso momento.
Chi ha taciuto finora, tacerà per sempre.

Torno alla Flotilla, perché ieri ho avuto modo di confrontarmi con diversi adulti provenienti da Gaza, alcuni molto recentemente. A loro ho chiesto cosa pensassero della spedizione di piccole barche a vela che potrebbero essere spazzate via in un soffio, impunemente, e che tuttavia solcano il mare per rivendicare la legittimità di un diritto umano fondamentale.

Gli occhi di tutti si sono illuminati. Ne sono al corrente, seguono le notizie con il fiato sospeso, ne sono ammirati ed inorgogliti. Hanno parlato di onore e di coraggio, ciò che è mancato a tanti.

La questione palestinese non è mai stata una questione di "io speriamo che me la cavo". Di denaro da devolvere a pochi eletti.

Che pessima rappresentazione della causa palestinese, questa. Se a ciò fosse stata ridotta, essa sarebbe morta e sepolta da oltre settant'anni. Non avrebbe potuto reggere all'impatto con un tempo così lungo e così doloroso, al confronto con un nemico così potente e spietato.

"Siamo fieri di queste barche. Speriamo contro ogni previsione che riescano ad approdare e prendere metaforicamente a schiaffi i governi arabi e chiunque non si sia impegnato abbastanza".

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