 |
22 settembre e fase storica
di Gabriele Germani
Personalmente sono convinto che rivolte e movimenti di massa non inizino mai in modo completamente autonomo (non in una società complessa ed altamente tecnologica).
Questo vale a mio avviso per il Nepal, come per le cicliche proteste francesi o gli scontri di piazza in Perù, Kenya e Indonesia.
Qualcuno che per interessi -più o meno palesi- accende le braci c'è sempre.
Questo non implica che il movimento non sarebbe nato lo stesso o che prenda necessariamente la strada per lui "prevista".
Un conto è buttare benzina sul fuoco, un conto è pensare di controllare le fiamme.
Esiste poi un substrato storico che crea malcontento indipendentemente: Indonesia e Nepal hanno oltre il 50% della popolazione sotto i 28 anni e oltre il 70% alfabetizzati e sono in una transizione socio-economica tipica dei paesi in via di sviluppo.
Chiarito ciò, penso che siamo davanti a un cambiamento di paradigma enorme rispetto al passato.
Internet ci ha abituato a voler parlare sempre, esprimerci su tutto, partecipare e votare rapidamente.
In Francia, le proteste sono dirette da una chat Telegram con ventimila persone, con dentro Mélenchon e Le Pen.
In Nepal, i ragazzi si sono organizzati su Discord e quando il sito ha iniziato a crashare per eccesso di accessi hanno aperto una live su Youtube.
Possiamo veramente pensare che questi feudi virtuali siano neutri? Che non rispondano ai miliardari che li creano o agli apparati militari da cui spesso prendono o a cui forniscono tecnologie?
Arriviamo al punto seguente: la coerenza degli scioperanti e dei moderni farisei che hanno da ridire sul fatto che tanta gente, che manca sa bene dove sia Gaza, ora si sia unita alla protesta.
Personalmente penso: che importa. Bene che le persone siano in piazza e protestino per una cosa giusta, bene che facciano qualcosa anche solo simbolico; in sostanza è così che vinci le singole battaglie.
Altrimenti vuoi cambiare il mondo è quella è una roba da preti, non da attivisti (l'idea che si debba essere coerenti a 360gradi è un retaggio del liberismo che rende tutto una questione individuale: ridi alla manifestazione? Sbagli; fai aperitivo nel tempo libero? Sbagli!).
Quindi il movimento ProPal che ora piace a tutti è destinato a rivoluzionare la società? No.
Alla fine finiremo a fare gli accendini con la faccia di Obaida come li abbiamo fatti con Mandela e Che Guevara.
La caratteristica secondo me interessante è che nel mondo, Italia inclusa, milioni di persone vogliono di nuovo partecipare lo fanno in un mix tra digitale e reale e al di fuori di partiti e schemi.
Al netto della bravura degli organizzatori della manifestazione/sciopero del 22, la gente sarebbe venuta in piazza per la Palestina anche se l'avesse chiamata il Papa, la provincia di Catanzaro o il comune di Ladispoli.
Buona parte di quella folla non sa nemmeno bene cosa siano le sigle dietro la manifestazione; inutili le paginate dei giornali (che non legge più nessuno) a dire chi avesse vinto o perso: è un campionato morto, che non interessa a nessuno, soprattutto ai trentenni e ventenni in piazza che erano per lo più laici, fuori sigle, venuti con gli amici o i compagni di scuola e università (altrimenti sarebbero stati i soliti quattro gatti).
La mia impressione è che la stagione del populismo anni Dieci ci ha insegnato che i vari Tsipras o Grillo possono deluderci o meno, che col tempo possono scendere a compromessi (anche legittimi dati dalla realtà politica che un amministratore deve avere).
Le persone vogliono sentirsi parte di un progetto non pilotato o incasellati da altri, senza leader confezionati e delle cui sigle gli frega il giusto (quindi niente).
Questo linguaggio lo hanno appreso sul web, votando velocemente, formandosi, imparando, parlando di tutto.
Con luci e ombre di ciò che ne deriva: da un lato diventiamo dipendenti da piattaforme private, dall'altro aggiriamo almeno la guida degli aspiranti politicanti (forse).
Nei gruppi digitali (proprio come in Francia o Nepal) ci entrano tutti e alla fine è un po' come se non ci entrasse nessuno: a prevalere è la moltitudine, non gli interessi di fazione.
La stessa impressione me la fa il movimento MAGA, trasversale dove in mezzo a tanta merda (ma veramente tanta: sessista, razzista, antisemita, creazionista, omofoba, ecc.) c'è anche una parte di controcultura che ad esempio è attenta al cibo o alle implicazioni ambientali o alla connivenza tra gruppi di potere e politica (e infatti è in rottura con Trump).
La questione è complessa: non dico sia un bene o un male, prima che qualcuno dica "Tessi le lodi di", non tesso le lodi di niente.
Dico che questa è la realtà, facciamoci trovare pronti al binario giusto.
VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU GAZA
 
Dossier
diritti
|
|