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23 settembre 2025
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Il popolo sta con i palestinesi
di Roberto Prinzi

Ci sono giorni emozionanti, commoventi. Per chi vive la causa palestinese con amore, il 22 settembre 2025 resterà uno di quei giorni. Qualunque cosa produrrà. Resterà dentro. E gli esseri umani si nutrono anche di questi momenti.

Per chi vive le scuole tra docenti sempre più pusillanimi, disillusi, più attenti al loro piccolo orticello (che è un orticello sempre più pieno di liquami visto lo stato moribondo dell'istruzione) che a fare rete e lotta, vederli in piazza in massa ieri è stata una immagine potente. Ancora di più se a pensare che al loro fianco c'erano gli studenti. Non più una cattedra a dividerli, ma una piazza ad unirli. Un abbraccio per quel discente incontrato.

Saltano gli schemi della "buona scuola". Quella dove gli studenti vengono infantilizzati, quelli a cui si rimprovera: "ma perché non ragionate?", "sono così passivi!" salvo poi punirli se (giustamente!) si rifiutano di essere parte di quella pagliacciata che è l'esame attuale di maturità. In una scuola azienda che li manda a morire, a farsi male per il bene delle aziende, a insegnare loro "la performance", la disciplina. Non ad amare lo studio, a capire, a porsi le domande. Ma a produrre.

Studenti e docenti, ma anche tanti lavoratori - ieri c'erano tutti, ma proprio tutte le categorie - insieme hanno sfilato. Della stessa acqua si sono bagnati. Degli stessi soli si sono riscaldati.

Non si ricorda da decenni uno sciopero di massa di tali dimensioni. Ieri un gran parte d'Italia era Palestina. Lo era nelle piazze. Lo era in molte macchine bloccate nel traffico e che pure solidarizzavano con i manifestanti. Solo per qualche ora questo disastrato Paese ha vestito i panni più belli. Solo per qualche ora: basta vedere i titoli dei giornali (che a questo evento epocale avevano dedicato qualche trafiletto). le dichiarazioni di un mondo politico sempre più fuori dal mondo, distaccato dalle esigenze e i bisogni della popolazione.

Poi si chiedono perché nessuno va a votare. Poi qualcuno si chiede che senso ha ancora parlare di "democrazia" se i cittadini dal basso fanno e chiedono quello che i governi europei non sanno e vogliono fare.

Perché il bisogno del popolo è sentire il dolore dei palestinesi. E' stare con loro. Questa giornata campale di attivismo poteva essere riunita solo dalla bandiera che sempre di più rappresenta il desiderio di un mondo unito dalla giustizia sociale. Se ti avvolgi o indossi quei colori, stai dicendo con chi stai. Dove ti collochi nel mondo. Solo quel popolo che da oltre 100 anni resiste per esistere nella sua terra violentata dalla forma più crudele di colonialismo predatorio poteva portare nelle piazze di tutta Italia centinaia di migliaia di persone.

Cammini mentre la pioggia ti bagna. I pensieri volano liberi e incontrollati come il fiume dei manifestanti che non si può controllare. E' ovunque: non conosce argini. Si fa beffa degli argini. Cammini, ti fermi, guardi. E pensi a tutti questi anni dove la Palestina era stata abbandonata. Da molti, anche in molta sinistra.

Come se ci fossimo dimenticati gli orrori del colonialismo e delle nostre complicità da occidentali. Come se avessimo tradito migliaia di persone che lottano per il diritto sacrosanto a decidere del loro destino, riappropriandosi della loro terra. Dal fiume al mare. Sì dal fiume al mare: che già esiste come entità, ma è entità infernale. Perché ciò che produce il sionismo e Israele può essere solo sinonimo di barbarie.

L'acqua ti penetra negli spazi di una maglietta estiva sbagliata al punto da farti sentire fuori luogo. Un pesce fuor d'acqua rispetto soprattutto alla studentessa delle superiori che ti passa davanti e danza a ritmo sostenuto e che grida "Free Palestine". E tu ti rivedi in quella forza qualche anno addietro, ai cortei a Roma, agli incontri sulla Palestina, alle Freedom Flotilla che un tempo erano nemiche per i sinceri democratici. Oggi, da qualche mese, improvvisamente apprezzate.

Dove sono stati questi numeri per due anni di Shoa, iniziata l'8 ottobre? Un rivolo di acqua ti colpisce gli occhi: sarà solo un'allucinazione? E cosa ne saranno di questi numeri? Cosa resterà di questo 22 settembre 2025? Si parlerà di Palestina e di palestinesi come "poveretti", come carne da macello? O si incomincerà a parlare di politica?

Si avrà il coraggio di osare nelle richieste: dissolvere lo stato coloniale, Israele, condannando la sua ideologia? E poi avvicinarsi a questo straordinario popolo che, nonostante tutto, continua a produrre cultura, arte e che, come i rami dei loro ulivi, resta attaccato alla loro terra. Fino all'ultima bomba "mirata". Fino all'ultimo checkpoint. All'ultima "barriera di sicurezza". Fino a che l'ultimo cielo di Palestina non crolli del tutto. Capiremo cosa i palestinesi ci dicono o continueremo solo a pensare di "salvarli" nella tipica sindrome da bravi occidentali?

Cammini a testa bassa, chiacchierando con il tuo compagno affianco. Non è tempo di fare prediche. Bisogna unire, avvicinare gli altri, dare e insegnare quel po' che si è capito.

L'acqua è penetrata più in basso: dallo sterno colpisce l'area del cuore. Sei un cazzone e non hai più l'età per una maglietta così. Te lo ripeti, ancora una volta. Non sei più come quella ragazza che prima ballava e gridava, credendoci davvero, "Free Palestine". Te lo ripeti, ancora una volta. Ogni tanto il vento ti frusta. La pioggia torna, poi se ne va. Poi torna. Ti deride. Eppure, lì, in fondo, sopra quel grattacielo brutto e grigio simbolo del capitalismo che ha strangolato questa città, appare un filo di sole.

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