 |
Einbinder, ebrea protagonista di Hacks, agli Emmy grida “Free Palestine”
di Paolo Mossetti
Torniamo un attimo agli Emmy di quest’anno, dove l’attrice Hannah Einbinder, protagonista della serie Hacks, ha scelto di utilizzare il suo momento sul palco per un gesto politico raro e dirompente a Hollywood, gridando “Free Palestine”.
L'attrice dovrà pagare una multa di 10.000 dollari: non per il contenuto politico del suo discorso, ma per aver sforato il tempo consentito. Una cifra modesta rispetto al suo reddito, ma che assume un valore simbolico indubbio: Einbinder ha deliberatamente “rubato” qualche secondo alla cerimonia per dare forza a un messaggio che soltanto un anno fa sarebbe suonato come una bestemmia.
Ricordiamo da dove siamo partiti. Nel 2023, l’industria dell’intrattenimento statunitense aveva fatto quadrato attorno a Netanyahu, col tipico conformismo terrorizzato d'oltreoceano, e con dichiarazioni pressoché uniformi in sostegno di una società radicalizzata, che si apprestava a compiere una mattanza. Quel riflesso bellicista collettivo, simile agli eccessi post-11 settembre, aveva rafforzato anche nella cultura e nell'informazione italiana l’idea di un consenso quasi unanime, che avrebbe messo sotto il tappeto per sempre le critiche radicali a Israele, o che le avrebbe perimetrate entro la sfigata sinistra radicale.
Nulla di più sbagliato: oggi nel mondo si parla di Palestina, di coloni e di apartheid come mai negli ultimi tre decenni almeno. Se ne parla a sinistra, a destra e al centro, nelle grandi città e in provincia.
Ancora più importanti sono state le parole pronunciate da Einbinder dopo quella frase. L’attrice ha spiegato di sentirsi obbligata, in quanto ebrea, a distinguere l’identità religiosa e culturale ebraica dallo Stato di Israele, sottolineando che il giudaismo ha una storia e un peso autonomi rispetto a un progetto politico etnonazionalista.
In un'industria in cui spesso le voci critiche su Israele sono state marginalizzate in modo non troppo dissimile dal maccartismo anni Cinquanta, è un piccolo gesto che assume un significato doppio: denuncia le sofferenze di Gaza e, al tempo stesso, indica ai più giovani un altro modo di essere ebrei, libero dall’identificazione automatica con Israele. Ed è questa identificazione controproducente, questo legame catastrofico che dovrà essere al centro di un grande concilio riformista del futuro: religioso, civile e geopolitico assieme.
VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU GAZA
 
Dossier
diritti
|
|