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Hollywood in rivolta: boicottate produzioni di chi supporta Israele
di Rita Newton
Agli Emmy Javier Bardem“, con la kefiah sulle spalle, dichiara all'intervistatore "Non posso lavorare con coloro che giustificano o sostengono il genocidio" e quindi spiega che rifiuterà di partecipare a produzioni in qualche modo legate a Israele. Già a luglio l'attore spagnolo aveva utilizzato la sua piattaforma a "The View" per condannare le azioni di Israele a Gaza definendole "genocidio".
Durante una conversazione con i co-conduttori del programma sull'importanza dell'attivismo, la star di "Skyfall" e "Dune" aveva menzionato la sofferenza che lui e altri hanno provato guardando la guerra di Israele contro Hamas, affermando di aver visto video di bambini palestinesi "assassinati" da Israele.
"Ma la situazione a Gaza è giunta a un punto tale che non posso... non posso esprimere il dolore che io, insieme a molti milioni di persone, soffro quotidianamente guardando quelle orribili immagini di bambini assassinati e che muoiono di fame."
Ma sono 4.000 le star di Hollywood, i registi e altri operatori del cinema, che l'8 settembre hanno firmato un impegno per boicottare le istituzioni cinematografiche israeliane, secondo l'organizzazione di pressione Film Workers for Palestine che annovera fra le sue fila Emma Stone e Mark Ruffalo, Joaquin Phoenix, Peter Sarsgaard, Lily Gladstone, Olivia Colman, Tilda Swinton e Susan Sarandon (quest'ultima anche impegnata nella missione della Global Sumud Flotilla.
"Ispirati dai Filmmakers United Against Apartheid che si sono rifiutati di proiettare i loro film nel Sudafrica dell'apartheid, ci impegniamo a non proiettare film, apparire o collaborare in alcun modo con istituzioni cinematografiche israeliane – inclusi festival, cinema, emittenti televisive e case di produzione – implicate nel genocidio e nell'apartheid contro il popolo palestinese", si legge nell'impegno.
"Rispondiamo all'appello dei registi palestinesi, che hanno esortato l'industria cinematografica internazionale a rifiutare il silenzio, il razzismo e la disumanizzazione, nonché a 'fare tutto ciò che è umanamente possibile' per porre fine alla complicità nella loro oppressione", si legge nell'impegno.
In occasione del Festival del Cinema di Venezia, la documentarista israeliana Avigail Sperber aveva detto delle azioni e dichiarazioni dei colleghi pro-Pal: "Dovrebbero fare tutto il necessario per costringere il governo israeliano a fermare questa terribile guerra... E sì, anche i nostri film saranno feriti. Ma questo prezzo vale la possibilità di porre fine allo spargimento di sangue e iniziare a guarire questa zona sanguinante..."
Inoltre affermava che i sindacati degli artisti cinematografici avrebbe dovuto rispondere agli artisti ribelli "Grazie, cari colleghi nel mondo. Grazie per non essere rimasti indifferenti agli orrori. Grazie per averci spalleggiato, noi che da soli non riusciamo a cambiare la realtà. Vorrei che con il vostro aiuto riuscissimo a fermare questa guerra".
L'Associazione Israeliana dei Produttori Cinematografici e Televisivi ha risposto all'impegno di boicottaggio con una dichiarazione a Deadline, affermando: "I firmatari di questa petizione stanno prendendo di mira le persone sbagliate".
"Per decenni, noi artisti, narratori e creatori israeliani siamo stati le principali voci che hanno permesso al pubblico di ascoltare e testimoniare la complessità del conflitto, comprese le narrazioni palestinesi e le critiche alle politiche dello Stato israeliano", ha affermato il gruppo.
L'associazione ha affermato di collaborare con i creatori palestinesi per promuovere la pace e che l'appello al boicottaggio è "profondamente fuorviante".
Inoltre, in una dichiarazione del 12 settembre riportata da Reuters, la Paramount è stata la prima grande casa di produzione ad affrontare la questione: "Non siamo d'accordo con i recenti tentativi di boicottare i registi israeliani. Mettere a tacere singoli artisti creativi in base alla loro nazionalità non promuove una migliore comprensione né promuove la causa della pace", ha affermato la Paramount. "Abbiamo bisogno di più impegno e comunicazione, non di meno".
In risposta alla dichiarazione della Paramount, Film Workers for Palestine ha criticato lo studio per aver "intenzionalmente travisato l'impegno preso nel tentativo di mettere a tacere i nostri colleghi dell'industria cinematografica". "Una mossa del genere non farebbe altro che proteggere un regime genocida dalle critiche, in un momento in cui l'indignazione globale sta crescendo esponenzialmente e mentre molti stanno compiendo passi significativi verso la responsabilità", ha scritto il gruppo in una dichiarazione condivisa sui social media.
L'organizzazione ha anche accusato il multimiliardario Larry Ellison di avere un presunto "stretto rapporto con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu" e ha applaudito le migliaia di registi che si sono uniti per prendere una "posizione morale collettiva".
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