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Antimafia: Rocco Chinnici
di
Pino Maniaci
Le macchine distrutte, i detriti ovunque e poi quella fossa profonda, profondissima, provocata dall'esplosione di un'autobomba. Era il 29 luglio 1983 e in via Pipitone Federico a Palermo si era appena consumata una carneficina.
Una Fiat 126 verde, imbottita con 75 kg di esplosivo, fu fatta esplodere uccidendo il giudice Rocco Chinnici, i suoi agenti di scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, il portiere del palazzo Stefano Li Sacchi e ferendo diciassette persone.
Erano le otto del mattino e il magistrato era appena uscito da casa per recarsi, come ogni mattina, al palazzo di giustizia, dove stava coordinando le indagini sull'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Ad azionare il telecomando che provocò l'esplosione fu Antonino Madonia, boss di Resuttana, poi condannato all'ergastolo insieme ad altri mafiosi della cupola.
A volere l'attentato furono soprattutto i cugini Ignazio e Nino Salvo, finiti spesso al centro delle inchieste del dottor Chinnici, perché considerati la "cerniera" tra la mafia e la politica.
Rocco Chinnici fu l'ideatore del pool antimafia e, come i suoi colleghi Falcone e Borsellino, sognava di riscattare questa bellissima terra dal cancro mafioso, semplicemente applicando la legge.
Aveva cinquantotto anni e dedicò gran parte della sua vita a girare le scuole per sensibilizzare i giovani, perché parlare a loro, alla gente, «raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi, fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai».
Non dimentichiamolo.
 
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