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30 giugno 2025
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Media occidentali complici del genocidio a Gaza, denunciano esperti
di Leandro Leggeri

I principali media occidentali stanno contribuendo alla negazione e alla normalizzazione del genocidio in corso a Gaza. È questa l'accusa lanciata da accademici, giornalisti e analisti riuniti a Londra in occasione di un evento organizzato dall'International Centre of Justice for Palestinians (ICJP).

Secondo i dati presentati dal Centre for Media Monitoring (CFMM), emittenti come la BBC avrebbero censurato oltre 100 volte l’uso del termine “genocidio” nei propri servizi sull’offensiva israeliana. Inoltre, termini come “massacro” sarebbero stati impiegati 18 volte più spesso per descrivere gli attacchi di Hamas che non quelli israeliani, nonostante le migliaia di vittime civili palestinesi, tra cui donne e bambini.

«È una guerra contro la memoria e la storia», ha dichiarato Omar al-Ghazzi, docente alla London School of Economics. Il rischio, ha spiegato, è che le narrazioni mediali diventino la base per una lettura distorta dei fatti destinata a imporsi nelle generazioni future.

La giornalista Rachel Shabi ha sottolineato come i media internazionali accettino acriticamente le restrizioni israeliane alla stampa, escludendo le voci palestinesi o mettendo in dubbio la loro credibilità. «Le vittime palestinesi vengono sistematicamente messe sotto processo mediatico», ha affermato.

Lo storico Avi Shlaim ha definito la strategia israeliana una «campagna propagandistica aggressiva» volta a ridurre al silenzio ogni critica, anche etichettando come antisemita chi denuncia le violazioni. Il sociologo Martin Shaw ha parlato di una forma di “negazione implicatrice del genocidio”: si riconoscono i crimini, ma non si agisce per fermarli.

Secondo Wadah Khanfar, ex direttore generale di Al Jazeera, tutto ciò si inserisce in un progetto più ampio volto a marginalizzare le voci arabe e a ridisegnare il Medio Oriente secondo logiche geopolitiche occidentali.

L’impunità israeliana, ha avvertito il panel, mina le basi del diritto internazionale e rischia di trascinare l’intera regione – e forse il mondo – verso un’epoca di conflitti incontrollabili.

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