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Maggioranza uccide il reato di femminicidio
di Rita Guma *
Il Consiglio dei ministri aveva approvato a marzo lo schema di disegno di legge recante "Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime", proposto dai ministeri della Giustizia, dell'Interno, per la Famiglia Natalità e Pari Opportunità, per le Riforme istituzionali e Semplificazione normativa.
Il provvedimento prevedeva l'introduzione nel sistema giuridico italiano del reato di femminicidio, inteso come il delitto commesso da chiunque provochi la morte di una donna per motivi di discriminazione, odio di genere o per ostacolare l’esercizio dei suoi diritti e l’espressione della sua personalità.
Bene, si dirò, ma adesso la maggioranza circoscrive il reato con un emendamento presentato durante l’esame in Commissione Giustizia al Senato. E proprio le relatrici del ddl varato dal governo – la presidente avv. Giulia Bongiorno, della Lega, e Susanna Campione di Fratelli d’Italia – hanno proposto di limitare il campo di applicazione del reato.
Nel testo uscito a marzo dal Consiglio dei ministri, infatti, si prevede che venga punito con l’ergastolo chi uccide una donna “come atto di discriminazione o di odio” verso la vittima “in quanto donna”, oppure “per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità“.
E l'avvocata Giulia Bongiorno a quel tempo commentava "Non tutti ricordano che, fino al 1981, chi uccideva una donna in nome dell’onore veniva condannato a una pena mite, come se il legislatore in qualche modo lo giustificasse. Ciò denotava una visione della donna come essere inferiore. Oggi viene affermato il principio opposto, con una severa sanzione nei confronti di chi uccide per motivi di odio e di disprezzo derivanti dall’idea della donna come essere inferiore. Il tipico esempio è quello di chi vuole mantenerne la subordinazione o controllarne l’autonomia non riconoscendole libertà di autodeterminazione".
L'emendamento delle relatrici cancella invece quell'espressione restringendo il campo al caso in cui l’assassinio è “conseguenza del rifiuto” della donna “di stabilire o mantenere una relazione affettiva ovvero di subire una condizione di soggezione o comunque una limitazione delle sue libertà individuali, imposta o pretesa in ragione della sua condizione di donna”. La stessa modifica viene apportata alle varie aggravanti previste dal provvedimento per altri reati (ad esempio lesioni, maltrattamenti in famiglia, stalking).
Questo cambiamento comporta che sarà praticamente impossibile dimostrare la circostanza per cui il reato da omicidio diventa femminicidio, perché la persona che potrebbe confermarla, ovvero la donna vittima, è stata uccisa.
Come ho già detto in passato, l'ingiustizia è frutto per lo più di cattive leggi.
Restiamo spesso scioccati di fronte a pene, sentenze e ordinanze evidentemente inadeguate (per difetto) ai comportamenti criminosi messi in atto dai colpevoli e ce la prendiamo con i giudici ma il problema non sono (in genere) loro, ma come sono scritte le norme penali.
Le leggi che basano la configurazione di un reato su elementi soggettivi e non oggettivi (come quella sullo stalking, ma non solo), favoriscono quella delle due parti che ha i migliori avvocati e periti, non la vera vittima. Addirittura possono ribaltare i ruoli di colpevole e vittima rispetto alla realtà.
Chiarisco il mio pensiero con riferimento al reato di stalking, pur coinvolto nella modifica normativa.
Una fattispecie basata su elementi oggettivi dovrebbe prevedere che se un tale compie un certo numero minimo di atti, questi sia automaticamente colpevole. Per esempio, se X manda più di dieci sms o mail o altre cose indesiderate a Y, X commette reato di stalking, viene condannato e la giustizia è certa e rapida. Ma invece a quale artificio sono ricorsi i legislatori? Che se Y non riesce a provare di aver avuto un danno dal comportamento di X, questi può continuare nei suoi comportamenti lesivi.
Quindi se Y è una persona forte, che una perizia non troverà affranta o impaurita per il comportamento di X (di cui occorre quindi dimostrare anche la causalità) X la farà franca.
Viceversa, se Y con due soli episodi prova (o riesce a simulare) terrore, risulterà vittima.
Questo tipo di ragionamento è vergognoso e avrebbe senso solo nella giustizia civile, cioè laddove si stabilisce un risarcimento, che ovviamente va proporzionato al danno. Se non c'è danno, zero euro, se c'è si valuta la gravità.
Ma il comportamento penalmente rilevante dovrebbe essere tale comunque sia, in modo oggettivo, con una pena minima e aggravanti se c'è danno. E ovviamente tutta un serie di decisioni dei tribunali - come gli arresti domiciliari per il reo - sarebbero conseguenti alla riconosciuta gravità del comportamento, che oggi è opinabile.
Tale certezza sarebbe anche d'aiuto a chi mandi sms e mail in buona fede, perché saprà quale è il limite certo da non valicare.
Pertanto non prendiamocela con chi le leggi le deve applicare, ovvero i giudici, prendiamocela con chi le fa, e non di rado le fa - in questo e altri ambiti - in modo vergognoso.
Quello di demandare di fatto alla vittima, che ormai non può più testimoniare, il compito di dimostrare che il proprio assassino l'ha uccisa per un motivo piuttosto che per un altro, è l'invenzione del secolo e svuota la legge del suo significato, oltre che della sua efficacia. E' evidente che la norma infastidiva chi pasce nel patriarcato, i nostalgici del ventennio con la sua visione della donna come essere inferiore e chi elettoralmente pesca in quel bacino.
Stupisce ovviamente (e indigna) che a proporre la riduzione del campo di applicazione della legge sul femminicidio siano due donne, una delle quali si dice da sempre schierata a difesa delle donne. Ma è lo stesso metodo usato spesso nei tribunali, dove nel collegio di difesa di un uomo che ha commesso un reato a sfondo sessuale su una donna o un femminicidio si coinvolge un'avvocata... In questo caso, Bongiorno si è di fatto rimangiata il ragionamento che fece a marzo a sostegno del ddl di cui è relatrice.
Diceva Otto von Bismarck "Meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte." Il problema è che qui l'indegnità non riguarda solo il metodo, ma il risultato dell'opera del legislatore.
* Presidente Osservatorio
 
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