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Uccidere il vicino di casa
di
Francesco P. Esposito *
"Hai visto come si dorme bene adesso?".
Nei giorni dopo la strage di Erba le microspie intercettano questa conversazione tra Olindo e Rosa. Non una parola sulla morte che si è presa anche un bambino e dato fuoco alla vita.
Ma non è della colpevolezza - oltre ogni ragionevole dubbio - di Olindo e Rosa che mi interessa parlare qui.
Dopo l'arresto il gas mortifero che esala dalle bocche dei rei confessi macchia il nostro stupore, sporca il nostro latte, stona ogni ninna nanna, sfoca ogni sogno.
Le loro dichiarazioni di buona pace familiare sono anche le nostre, come un tumore profondo senza più rumori di fondo.
Come cocci di vetro, come biglie di ferro, come parole arrugginite.
La noia, i cortili, i ballatoi, i sacchetti di bollette arretrate, il rancore, l'invidia, il lunedì sera, la follia a due, quel buon panino del MacDonald, gli alibi costruiti con sincerità.
Sì! Si uccide per passi di scarpe e sorrisi di bambini dall'altro lato del muro: nulla di più e spesso molto di meno.
Perché visti da vicino gli assassini non hanno nulla di magnetico o sensazionale perché visti da vicino gli assassini ci assomigliano.
Sono il nostro sangue, la nostra carne, le nostre parole, i nostri nervi tesi.
Perciò non accettiamo che siano stati due qualunque a uccidere donne vicine di casa e un bambinetto.
Perciò speriamo che sia stato un mostro venuto da lontano.
Invece no.
Siamo noi incapaci di essere comunità, vivere in condominio e amare il vicino di casa.
Non siamo innocenti e assomigliamo a Olindo e Rosa molto più di quanto vogliamo ammettere.
* Criminologo forense, componente del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
 
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