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Arte sia strumento di denuncia
di Alessandro Negrini
C’è un quadro che non è stato ancora dipinto.
Una terrazza. Un salotto. I calici alzati, parole colte.
La piccola borghesia brinda, legge Molière, ascolta Shakespeare, Mozart sotto le luci calde dell’estate. Danza il ballo dell'oblio obbligatorio.
Dietro, sullo sfondo, puntini piccolissimi sotto un cielo color sangue: i bambini di Gaza che muoiono o di droni, o di cecchini, o di fame.
Sullo sfondo, un paese aggredito dalle bombe da coloro che per tre anni dicevano "c'è un aggressore e un aggredito".
Quel quadro siamo noi.
Nelle ultime 24 ore Israele, sparando sulle folle affamate, ha ucciso più di 140 persone mentre cercavano un po' di cibo.
Il sistema sanitario è al collasso.
All’ospedale Nasser, i medici operano senza farmaci, né sangue, né cibo.
Entro 48 ore - avvertono - cominceranno a morire i neonati per mancanza di latte.
È un genocidio a puntate, neutralizzato dai titoli di testa.
L’Italia col Governo Meloni - tace, usa mezze parole, non nega ufficialmente l'uso delle basi americane in Italia, invece già utilizzate nei giorni scorsi. La patriota, tace. E dovrà rispondere davanti ai tribunali che un giorno condanneranno gli Stati per complicità in genocidio e per aver partecipato illegalmente a una guerra voluta dai nostri padroni, Stati Uniti e Israele.
E noi? Gli artisti?
Noi che abbiamo voce, corpo, spazio, palco, parola?
Mi rivolgo, ancora, a tutti voi amici, conoscenti o sconosciuti che avete a che fare con la bellezza: Ogni spettacolo, ogni piazza, ogni scena può essere un grido, una forma di resistenza. La possibilità che l'arte non sia - mero ornamento dell'esistente.
Non serve essere eroi, basta non essere complici.
Osiamo, osate!
Un meraviglioso colpo di reni capace di farci fare uno scatto umano, fuori dal lago nero del disinteresse, l'unico necessario a fare sî che il nostro mestiere abbia nuovamente un senso: diciamole le parole proibite, sui palchi, nei teatri, nei locali, nelle cene, alziamo lo sguardo sopra il nostro ombelico;
sventoliamo, anche per qualche secondo, la bandiera palestinese.
Pronunciamole le parole proibite:
Palestina libera.
NO all’aggressione all’Iran.
Scriviamolo, ovunque: Meloni, NON in guerra in nostro nome.
Perché nessuno potrà dire: “Non lo sapevamo.”
Perché se ci voltiamo dall'altra parte - ora che il mondo brucia dentro il suo buco nero, nulla ha senso, non le parole, non le danze, non gli abbracci sulla spiaggia, non i baci agli amanti, non gli applausi agli spettacoli, non il pathos egorifetito sui palchi.
C’è un quadro che non è stato ancora dipinto, ma che esiste.
Siamo noi.
Amici artisti: creiamo delle crepe in questa tela d'oblio e complice silenzio.
Per non morire dentro,
rendiamo viva, nuovamente, la parola Arte.
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