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Seymour Hersh rivela quel che gli è stato detto dei piani USA per l'Iran
di Leandro Leggeri
Il piano di battaglia iniziale per una nuova guerra
Seymour Hersh – 19 giugno
Questo è un rapporto su ciò che molto probabilmente accadrà in Iran, già da questo fine settimana, secondo fonti interne israeliane e funzionari americani di cui mi fido da decenni. Prevede pesanti bombardamenti americani. Ho verificato questo rapporto con un funzionario statunitense di lungo corso a Washington, che mi ha detto che “sarà tutto sotto controllo” se il leader supremo iraniano Ali Khamenei “se ne andrà”. Come ciò potrebbe avvenire, a parte un’eventuale uccisione, non è noto. Si è parlato molto della potenza di fuoco americana e degli obiettivi in Iran, ma ho visto ben pochi ragionamenti concreti su come rimuovere un leader religioso venerato con un enorme seguito.
Ho raccontato da lontano la politica nucleare ed estera di Israele per decenni. Il mio libro del 1991 The Samson Option raccontava la storia della bomba nucleare israeliana e della disponibilità americana a mantenere segreto il progetto. La domanda più importante, ancora senza risposta, sulla situazione attuale riguarda la reazione del mondo, compresa quella di Vladimir Putin, il presidente russo alleato dei leader iraniani.
Gli Stati Uniti restano l’alleato più importante di Israele, anche se molti qui e in tutto il mondo disapprovano la sua guerra omicida continua a Gaza. L’amministrazione Trump sostiene pienamente il piano attuale di Israele per eliminare ogni traccia di programma nucleare in Iran, sperando nel contempo che il governo guidato dagli ayatollah a Teheran venga rovesciato.
Mi è stato detto che la Casa Bianca ha approvato una campagna di bombardamenti totali in Iran, ma che gli obiettivi finali – le centrifughe sotterranee a Fordow, sepolte ad almeno 80 metri di profondità – non saranno colpiti prima del fine settimana. Il ritardo è stato imposto da Trump, che vuole che lo shock dei bombardamenti venga attenuato il più possibile dall’apertura dei mercati finanziari lunedì. (Trump ha contestato questa mattina su social media un articolo del Wall Street Journal secondo cui avrebbe già deciso l’attacco, scrivendo che non ha ancora preso una decisione.)
Fordow ospita la maggior parte delle centrifughe più avanzate dell’Iran che, secondo recenti rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – a cui l’Iran aderisce – hanno prodotto 900 libbre di uranio arricchito al 60%, a un passo dalla soglia necessaria per armi nucleari.
I bombardamenti israeliani più recenti non hanno tentato di distruggere le centrifughe a Fordow, che sono immagazzinate a grande profondità. È stato deciso, a partire da mercoledì, che bombardieri USA dotati di bombe perforanti in grado di penetrare fino a quella profondità, inizieranno ad attaccare Fordow questo fine settimana.
Il ritardo servirà a dare tempo alle forze armate americane in Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale – ci sono oltre due dozzine di basi aeree e porti navali statunitensi nella regione – per prepararsi a una possibile ritorsione iraniana. Si presume che l’Iran conservi ancora una certa capacità missilistica e aerea, anch’essa nella lista degli obiettivi USA. “Questa è un’opportunità per eliminare una volta per tutte questo regime,” mi ha detto oggi un funzionario ben informato, “quindi tanto vale andare fino in fondo.” Ha aggiunto però che “non sarà un bombardamento a tappeto”.
I bombardamenti previsti per il fine settimana prenderanno di mira anche nuove strutture: le basi dei Guardiani della Rivoluzione, che hanno represso chi si oppone alla guida rivoluzionaria sin dal rovesciamento violento dello scià nel 1979.
La leadership israeliana sotto il primo ministro Benjamin Netanyahu spera che i bombardamenti forniscano “i mezzi per creare una rivolta” contro il regime attuale dell’Iran, che ha mostrato poca tolleranza per chi sfida la guida religiosa e i suoi editti. Saranno colpite stazioni di polizia iraniane. Anche gli uffici governativi che custodiscono dossier su presunti dissidenti verranno attaccati.
Gli israeliani sperano anche, da quanto ho capito, che Khamenei fuggirà dal paese e non resisterà fino alla fine. Mi è stato detto che il suo aereo personale ha lasciato l’aeroporto di Teheran diretto verso l’Oman mercoledì mattina, scortato da due caccia, ma non è noto se fosse a bordo.
Solo due terzi della popolazione iraniana, che conta 90 milioni di abitanti, sono persiani. I gruppi etnici minoritari più numerosi includono Azeri – molti dei quali hanno da tempo legami segreti con la CIA –, curdi, arabi e baluci. Gli ebrei sono una piccola minoranza. (L’Azerbaigian ospita una grande base segreta della CIA per operazioni in Iran.)
Riportare il figlio dello scià, oggi in esilio vicino a Washington, non è mai stato preso in considerazione dai pianificatori americani e israeliani, mi è stato detto. Ma nel gruppo della Casa Bianca che include il vicepresidente J.D. Vance, si è parlato di insediare un leader religioso moderato se Khamenei venisse deposto. Gli israeliani si sono opposti con forza all’idea.
“A loro non importa nulla della questione religiosa, ma pretendono un burattino politico da controllare,” ha detto il funzionario statunitense di lungo corso. “Siamo in disaccordo con gli israeliani su questo. Il risultato sarebbe ostilità permanente e conflitto futuro perpetuo, con Bibi che cerca disperatamente di trascinare gli USA come alleato contro tutto ciò che è musulmano, usando la sorte dei cittadini iraniani come esca propagandistica.”
C’è la speranza, tra i servizi segreti americani e israeliani, che elementi della comunità azera si uniscano a una rivolta popolare contro il regime, se questa dovesse svilupparsi durante i bombardamenti. Si ipotizza anche che alcuni membri dei Guardiani della Rivoluzione possano unirsi a quella che mi è stata descritta come “una rivolta democratica contro gli ayatollah” – un’aspirazione a lungo perseguita dal governo americano. Il rovesciamento improvviso e riuscito di Bashar al-Assad in Siria viene citato come un potenziale modello, sebbene la sua caduta sia arrivata solo dopo una lunga guerra civile.
È possibile che il risultato di un massiccio attacco congiunto israelo-americano lasci l’Iran in uno stato di fallimento permanente, come accaduto dopo l’intervento occidentale in Libia nel 2011. Quella rivolta si concluse con l’omicidio brutale di Muammar Gheddafi, che teneva sotto controllo le tribù in lotta. I destini di Siria, Iraq e Libano – tutti vittime di ripetuti attacchi esterni – restano tuttora incerti.
Donald Trump vuole chiaramente una vittoria internazionale da “mettere in vetrina”. Per ottenerla, lui e Netanyahu stanno portando l’America in territori dove non è mai stata prima.
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