 |
I musicisti del Titanic
di Alessandro Negrini
C’è un’immagine che mi ossessiona:
i musicisti del Titanic che, su ordine dei proprietari del transatlantico, continuano a suonare mentre la nave sta per affondare, sino a pochissimi minuti prima della catastrofe.
L'arte che non sfida più la realtà, che non salva dalla tragedia, ma accompagna il disastro come una colonna sonora dolce e inoffensiva. Un tragico atto di resa estetica.
Oggi siamo su quel Titanic.
E in tanti, troppi, continuano a suonare.
Da anni insisto su una cosa:
gli artisti e gli intellettuali hanno una responsabilità ulteriore. Parlando di bellezza, non possono ignorare l'abominio. Parlando dell’umano, non possono essere ciechi e sordi di fronte al disumano.
Se non lo fa, l'arte è solo ornamento. Un "ornare" che lubrifica i meccanismi del disumano.
Eppure oggi ho paura di esaurire le parole.
Le ho scritte, dette, gridate: io e pochi altri.
Per dire che a Gaza si decide il destino di tutti noi – come esseri umani.
Siamo alle porte di un abisso sempre più vicino, che parte da Gaza e arriva in Iran: la cecità volontaria di tutti noi di fronte alla barbarie perpetrata da Israele, con la complicità degli Stati Uniti.
E ora, accanto all’inferno di Gaza, il bombardamento dell’Iran.
Uno Stato senza armi nucleari colpito da uno Stato che le ha,
illegalmente, senza trattati, senza ispezioni: Israele.
E di nuovo, da un lato gli intellettuali servili che usano come argomento altri corpi, quelli delle donne, per giustificare l'aggressione a uno Stato, dall'altra, nuovamente, il silenzio degli artisti.
Perché se continuiamo a concedere a Israele ogni violazione, ogni abominio, quelle stesse violazioni e quegli stessi abomini arriveranno a noi. E non solo come simbolo, ma come effetto: il precedente che farà testo, la possibilità di violare qualsiasi diritto con la certezza dell’impunità.
Ogni artista è soprattutto corpo e voce.
Allora usiamo questo corpo per parlare di tutti gli altri corpi negati:
ad ogni spettacolo, ad ogni presentazione, ad ogni evento, chiediamo agli artisti – E Gaza?
E GAZA?
Usiamo quel centimetro di palco che abbiamo per mantenere viva la parola Arte, facendo sì che l’indicibile e l’invisibile diventino dicibili e visibili.
Sventolando la bandiera di Gaza.
Pronunciando la parola Gaza. Chiediamolo ad ogni evento. Pronunciamola la parola indicibile.
Che si sia artisti, che si sia pubblico, dal palco o dalla platea: “E Gaza?”.
Per non essere i musicisti del Titanic.
Per essere, finalmente, di nuovo umani: “Dov’è Gaza?”.
VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU GAZA
 
Dossier
diritti
|
|