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IRAN detiene il vantaggio strategico?
di Alessandro Visalli
Ritengo che, malgrado le apparenze, il vantaggio strategico sia nelle mani dell'Iran.
Il fattore che resta decisivo è la profondità della struttura iraniana nel confronto con la fragilità della densissima e iper-tecnologica e militarizzata Israele.
Si deve partire dalla geografia, poi dalla demografia, quindi dalla struttura economica, quella produttiva e dal sistema alleati/ostili. L'Iran ha ca 1.650.000 kmq, mentre Israele 22.000; la popolazione del primo è di 87 milioni, con età mediana 32 anni, Israele 9,5 milioni (di cui almeno 2-3 palestinesi) con età mediana simile. L'Iran ha una forma dell'economia mista, con i guardiani della rivoluzione che ne controllano una fetta importante, il 25 % del Pil è industriale, importante il sistema degli idrocarburi, Israele è più 'moderno', ha il 66% dai servizi e solo 15% industria.
L'esercito iraniano è molto più grande ma meno avanzato e molto di terra, grande forza missilistica e scarsa aviazione, tutto il contrario Israele, potentissima aviazione (400 aerei) e forza antimissile, forza missilistica limitata. L'economia, in termini di Pil è simile, ma il debito pubblico israeliano sembra notevolmente maggiore (70% del PIL) come normale in uno stato militarizzato, il deficit è del 6% del Pil, in Iran c'è una inflazione alta.
Gli alleati dei primi sono, come noto, la Corea del Nord, e in misura più incerta per la lunga storia la Russia, in posizione esterna la Cina, i loro proxi sono, come noto Hezbollah, Hamas, Houthis, le milizie irachene. Per Israele gli alleati siamo noi, ma, soprattutto gli Usa. La Turchia oscilla, Qatar, Egitto, Arabia Saudita sono più vicini ad Israele, ma hanno enormi problemi interni e non interesse alla caduta completa dell'Iran.
Le forze militari comparate vanno dai missili balistici iraniani (i vecchi Shahab-3/Sejjil; i più recenti Emad, Khorramshahr, Kheibar, Dezful) che erano stati sottostimati quanto a numero e precisione, che potrebbero essere da 3 a 5.000; a droni di attacco, molto efficaci e venduti anche ai russi; ai 150.000 missili di basso effetto degli Hezbollah libanesi, oltre ai cruise efficaci ma limitati di numero degli Houti. Le altre milizie dovrebbero avere capacità limitate.
Israele in pratica non ha missili balistici, perché le poche centinaia sono nucleari (Jericho III), qualche missile navale (Gabriel, Popeye Turbo, Harpoon) e, soprattutto alcune migliaia di missili da aereo ad alta precisione (Delilah, si stimano in 5.000), con portata di 250 km. Ha 400 aerei F-35 (40 aerei) e F-15 o F-16. Poi droni.
In sostanza, all'attuale ritmo Israele può andare avanti per le due-tre settimane dichiarate, difficilmente di più. Solo se riceve ingenti rifornimenti può andare avanti per mesi. L'Iran può andare avanti con attacchi di saturazione per altrettanto, forse con i proxy per mesi.
Ma il punto centrale è che se questi missili fanno danno la fragilità verso resilienza comincia ad essere decisiva. Quel che si è visto è, da entrambe le parti, il frutto dell'apprendimento ucraino. Operazioni in profondità israeliane e armi notevolmente migliorate iraniane.
Tuttavia, l'Iran ha una struttura produttiva molto robusta (è un paese industriale) e altamente decentrata. Una volta vidi durante uno spostamento in pulman nel deserto iraniano una fabbrica sulla sinistra, in pratica senza strada di arrivo, circondata da filo spinato e mitragliatrici, nel nulla.
I missili sono stoccati in silos sotterranei e piccole quantità, la produzione è sia decentrata sia altamente automatizzata (e quindi meno vulnerabile a sabotaggi) con uso di tecnologie cinesi, potrebbero produrre fino a 200 missili balistici al mese, e centinaia di droni.
Recentemente sono state fatte ampie scorte di propellente solido dalla Cina. Se questo è vero l'attuale ritmo è sostenibile per 3-6 mesi. Il fatto è che fermare questa catena produttiva con attacchi mirati, senza occupare il territorio, non appare possibile.
Israele produce i suoi sistemi d'arma, più avanzati ma anche più costosi, in 4-5 grandi fabbriche (IAI, Rafael), che quindi potrebbero facilmente essere distrutte dai missili balistici. Le città israeliane sono iperdense, e quelle iraniane (con la parziale eccezione di Teheran e poche altre) sono basse e distribuite, palazzi di due piani, massimo 3-4. Le infrastrutture israeliane si contano sulle dita di due mani: 4-5 fabbriche chiave, due centrali nucleari, alcune infrastrutture It di Amazon e Google, il porto di Haifa con le sue industrie chimiche. Colpirle creerebbe un danno immenso.
In sostanza, se venisse erosa la capacità di sostituzione e logistica (porto e aereoporti), data l'ostilità dei confinanti e la vulnerabilità delle linee di terra, entro poche settimane Israele potrebbe perdere la sua superiorità, anche aerea (che dipende da una tecnostruttura altamente sensibile).
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La sintesi strategica di quanto scritto è che la leva negoziale è nelle mani di Teheran, contro le apparenze. Nel senso che nel medio termine israele può subire danni diretti ed indiretti critici, avendo anche altri fronti aperti o che si possono riaprire, sia verso gli Hezbollah, sia verso i ribelli siriani nelle alture del Golan, sia gli Houti e Hamas.
In questo scenario, la grande strategia israeliana può essere di trascinare gli Usa in una guerra diretta, ma in tal caso le monarchie del golfo non potrebbero seguire, per ragioni interne, e gli stessi Usa avrebbero seri problemi interni e di tenuta finanziaria (considerata da situazione altamente critica del percorso del debito e le tensioni sul dollaro).
Ritengo dunque che alla fine l'Iran possa negoziare, magari tra un mese, in posizione di forza relativa, soprattutto se riaccende i focolai a Nord (Hezbollah), Sud (Hamas), Est (il Golan siriano e i ribelli al nuovo regime), Mar Rosso.
In questo senso si vede oggi, in tutta la sua estensione, il piano di Israele: neutralizzare Hamas (per ora fallito), spezzare gli Hezbollah (per ora riuscito), eliminare la Siria (riuscito), indebolire gli Houti (fallito) e quindi colpire l'Iran. Ovviamente, tutto ha senso se, alla fine, gli Usa mettono gli scarponi sul terreno, o, almeno attaccano massicciamente entrando nella guerra.
Ma qui ci sono i limiti del piano (che, come sempre, non sopravvive all'impatto con il terreno): Hamas è ancora vitale, gli Hezbollah sono inerti ma hanno ancora le forze, in Siria ci sono forze ribelli forti e preparate che si stanno organizzando, gli Houti sono attivi. E, soprattutto, gli Usa sono divisi, con il debito al 130% del Pil, un deficit di bilancio che stringe i limiti di spesa, grandi tensioni sul dollaro, la guerra in Ucraina non chiusa.
La probabilità maggiore e che dopo qualche settimana, ma presto, il reciproco misurarsi porti ad un processo di de-escalation con la mediazione di Oman, Qatar, Cina e Turchia (dietro le quinte anche Russia), e in autunno si apra un negoziato con mediazione e garanzie turco-cinesi. Alla fine ci sarà un compromesso che coinvolgerà la Lega Araba, la Cina e la Turchia, riguarderà anche i progetti infrastrutturali (Patto di Abramo e Via della Seta) e i paesi confinanti.
Oppure il fuoco su tutto.
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