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Isolali e dividili
di Giuseppe Franco Arguto
𝘐 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘢, 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘪 𝘪 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘢, 𝘭’𝘪𝘯𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘢 𝘭’𝘪𝘯𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘨𝘪𝘶𝘰𝘤𝘢𝘯𝘰 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘥𝘶𝘦 𝘥𝘪𝘳𝘦𝘻𝘪𝘰𝘯𝘪: 𝘪𝘯 𝘢𝘱𝘱𝘢𝘳𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘥𝘶𝘤𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘴𝘰𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦, 𝘮𝘢 𝘪𝘯 𝘱𝘳𝘰𝘧𝘰𝘯𝘥𝘪𝘵𝘢̀ 𝘯𝘦𝘶𝘵𝘳𝘢𝘭𝘪𝘻𝘻𝘢𝘯𝘰 𝘪 𝘳𝘢𝘱𝘱𝘰𝘳𝘵𝘪 𝘴𝘰𝘤𝘪𝘢𝘭𝘪 𝘦 𝘭𝘰 𝘴𝘵𝘦𝘴𝘴𝘰 𝘴𝘰𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦.
(Baudrillard, "Il sistema degli oggetti")
Appartenere a una società ipertecnologizzata può consegnare a più di qualcuno l'idea che siamo sulla strada migliore verso la realizzazione di comunità interattive, invero però un percorso pieno zeppo di trappole. Il primo aspetto critico si rileva dalla tendenza tecnocrate mediante cui il capitalismo sta sciogliendo le briglie nel mondo digitalizzato e informatico: pur tutte le buone intenzioni dei fan della Tecnica, nell'Occidente multinterattivo dilaga la solitudine, non come un fenomeno scaturente da dinamiche sociali, ma un vero e proprio prodotto strutturale del sistema "media-macchina".
Gli elogi dell'iperconnessione si sprecano, ma pochi si sono resi conto che smartphone e applicazioni interattive hanno alienato le forme sociali preesistenti: leggo nei commenti degli spunti di riflessione che condivido, nel senso che si propone di tornare nei luoghi di incontro, nelle strade e nelle piazze a incontrarsi per condividere, interagire e far riemergere quella capacità tutta umana di tessere relazioni d'interesse, a prescindere dalle singole opinioni e idee. Di contro, le piattaforme 'social', simulando i legami sostituiscono fittiziamente quelle relazioni in presenza, rendendo gli individui e le loro comunità sempre più atomizzate, secondo lo schema "divide et impera" che contraddistingue da sempre ogni agire del biopotere.
La sintesi del successo dei social non è meramente aver contribuito a facilitare il contatto tra gruppi di persone tanto eterogenei, ma per le istituzioni capitaliste ha significato un efficacissimo strumento di indagine e controllo degli individui e delle loro 'comunità' virtuali. Ne emerge una realtà assai critica: le persone illusoriamente pensano di condividere con moltitudini di amici o conoscenti un tratto della quotidianità, ma dietro il bel vestito dell'interazione sociale spicca una solitudine di nuova generazione che colpisce soprattutto i nativi digitali, dipendenti dalle notifiche; quando queste non riflettono le aspettative, subentra la sindrome da like.
La scommessa per ciascuno di noi non è essere unicamente consapevoli dell'aver concesso agli intermediari capitalisti l'uso e consumo che facciamo dei bytes e dei pixel, ma riconoscerne la natura intrinsecamente isolante, progettata per estrapolare contestualmente non solo tempo e dati, ma artificiosamente installare nella "media-macchina" strumenti uniformanti di forme di obbedienza.
Se vogliamo ricostruire comunità reali dobbiamo rovesciare la gerarchia: mettere i media al servizio dei corpi, non viceversa. Ciò implica sabotare l’economia dell’attenzione, riaprire spazi fisici di incontro e praticare un’ecologia della comunicazione che restituisca potere alle relazioni dirette.
Senza questo atto di rottura, il futuro sarà un infinito scroll di solitudini sorvegliate.
 
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