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11 giugno 2025
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11 giugno 1984: moriva un uomo morale
di Daniele Furlan

11 GIUGNO 1984

Quel giorno non morì solo Enrico, di fermò la visione di una politica sana, non corrotta, morì il senso della sinistra in Italia, perché Enrico era la vera sinistra, quella della lotta al fianco dei lavoratori e gli oppressi contro ingiustizie, sfruttamenti e sopraffazioni.

"I PARTITI NON FANNO PIU' POLITICA, I PARTITI HANNO DEGENERATO, GESTISCONO INTERESSI, I PIU' DISPARATI, TALVOLTA LOSCHI, COMUNQUE SENZA ALCUN RAPPORTO CON LE ESIGENZE E I BISOGNI UMANI EMERGENTI, OPPURE DISTORCENDOLI, SENZA PERSEGUIRE IL BENE COMUNE. I PARTITI DI OGGI SONO SOPRATTUTTO MACCHINE DI POTERE E DI CLIENTELA" (28 luglio 1981 da intervista a Scalfari sulla sulla "QUESTIONE MORALE".

Una politica che usasse il suo potere per i bisogni della gente, non per interessi personali, su questo si fondava la sua lotta politica, non era moralismo, lui non era un moralista ma un uomo morale.

Un uomo morale che, purtroppo, non ha lasciato eredi nell'orizzonte politico italiano.

Quell'11 GIUGNO 1984 io non avevo nemmeno 3 anni, sono nato troppo tardi per conoscerlo, per ascoltarlo, per vederlo, viverlo... ho dovuto sempre cercarlo in immagini e video di repertorio... leggere i suoi libri, notare le sue azioni, le sue idee in quel contesto storico e politico, ascoltare i racconti di chi c'era... ma questo mi è bastato per apprezzarlo, ammirarlo e volergli bene, come uno zio...

Quando si cresce soli al mondo gli affetti si inventano, si cercano, e si scelgono i migliori, io li ho trovati sui libri, nella storia, nei personaggi... Enrico Berlinguer era uno di questi miei zii. Un altro zio che se n'è andato, senza che io abbia avuto l'opportunità di conoscerlo.

Eppure lo avrei tanto voluto, avrei voluto essere ai suoi comizi, in mezzo alla gente che riempiva le piazze naturalmente per ascoltare non Berlinguer, il leader di partito ma semplicemente Enrico, uno di noi, sentirmi, come tutti i presenti, parte di un progetto di cambiamento.

Non aveva bisogno di un ghost writer lui, scriveva da solo i suoi discorsi, non cercava parole ad effetto, né slogan fasulli o battute cretine, né promesse impossibili da mantenere, non era un oratore imbonitore lui, anzi era schivo, quasi timido ma generoso e sincero, cercava semplicemente di vedere la realtà, difendere la democrazia e i diritti di tutti, usava parole semplici perché fossero comprensibili da tutti, per fare sentire tutti partecipi di un progetto.

Continuava a ripetere che i corrotti avrebbero dovuto essere estromessi dal Parlamento. Non sapeva separare l'etica dalla politica e non per fare sermoni moralisti ma dandone l'esempio, applicandola alla sua persona.

Odiava i privilegi, la sua macchina era una semplice A 112, usava aerei di linea per i suoi spostamenti, facendo rigorosamente la fila al check in, del suo stipendio da deputato teneva per sé l'equivalente di quello di un operaio, il resto era per il partito... Cose da marziani per i politici...

Era riuscito a far riacquistare fiducia nelle istituzioni ai cittadini, sapendo che è l'unico modo per proteggere la democrazia... perché quando tale fiducia viene a mancare comincia la deriva antidemocratica. Deriva in atto da un bel po' in Italia...

Quel suo ultimo comizio a Padova la sera del 7 giugno, aveva allarmato tutti, a me è stato raccontato con le lacrime agli occhi da chi c'era, lì sotto al palco, talmente vicino da notare perfettamente il suo volto impallidire e trasformarsi, le lunghe pause, le parole che inciampavano.

L'ho vissuto tramite quei racconti, fino a vedere l'immagine di lui che sta male, che non ce la fa, eppure, con fatica continua, si fa forza, rassicura chi vuole soccorrerlo, perché non vuole lasciare quella marea di persone, tutte quelle bandiere rosse, perché vuole rispettare e contraccambiare tanto affetto, perché reputa sia suo dovere, come rappresentante del popolo, restare lì, con tutti loro.

Continua a parlare anche se quel popolo lì sotto forse non lo ascolta più, tanto è preoccupato e teme per lui, per questo comincia a chiedergli a gran voce: "basta Enrico, basta, per favore, fermati".

Forse Enrico non vede neanche più tutta quella gente magari ne avverte solo la presenza e intravede una macchia rossa in movimento ma ha qualcosa di importante da dire prima di non vedere più nulla e lo fa soffrendo, con un filo di voce trascinando le parole tra molte pause: "E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti... in questi pochi giorni che ci separano dal voto.... con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada... dialogando con i cittadini... con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto... per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo... è possibile coinvolgere altri per portare avanti la nostra causa.... che è la pace, la libertà, il lavoro, il progresso della nostra civiltà".

Poi, il buio... e per tutti 4 lunghi giorni di trepidazione, di voci che si rincorrevano sulle sue condizioni fino all'11 giugno, a quella notizia che nessuno avrebbe voluto avere: è morto.

E per milioni di italiani fu come se fosse mancato un pezzo di loro stessi, un caro amico, un familiare, un fratello, uno zio, come lo considero io. "Se i giovani si organizzano e lottano con i lavoratori non c'è scampo per l'ordine fondato sul privilegio e l'ingiustizia".

Nessuno lo ha più fatto... scusaci zio Enrico, se puoi.


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