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Il fuoco sopra gli angeli
di
Rinaldo Battaglia *
C’è un’altra pagina di storia dimenticata, il cui sangue ha sporcato anche questa mia terra veneta sebbene - questa volta - solo negli angoli: storia dimenticata che meriterebbe altrettante risposte.
Siamo infatti nel mio Veneto, a San Giorgio delle Pertiche, nella frazione di Cavino in particolare: 20 km da Castello di Godego, una decina da Villa del Conte o da San Giorgio in Bosco, luoghi dove sul finire la guerra i nazifascisti si macchiarono al massimo livello. Pochi lo sanno.
Nella chiesetta di Cavino nel 1923 si sposarono Lucia Zoccarato e Giuseppe Antonio Miozzo, Toni per gli amici. La fame era molta e i raccolti magri, malgrado le panzane del Duce e la trebbiatura del grano a petto nudo.
Come tanti, pensarono così di cercare fortuna altrove, magari negli Stati Uniti, partendo dal porto di Bordeaux. Ma si fermarono un po’ prima, credendo di averla trovata proprio in mezzo alla Francia, a Le Brandes, in una piccola azienda agricola, dove misero su famiglia con ben nove figli. Solo che il loro sogno da 'casa nella prateria' non teneva conto di Mussolini e della sua guerra ai cugini francesi del 10 giugno ‘40.
Toni venne richiamato in patria essendo prima stato carabiniere. Ubbidì per spirito di servizio, per fedeltà o forse – chissà – per non passare magari da disertore o traditore, lasciando comunque la famiglia nella campagna francese, dove la fame era minore. Tanto doveva essere tutta una cosa veloce, da guerra lampo. Sappiamo che non fu così.
Dopo l’8 settembre, Toni preferì non aderire a Salò e venne pertanto spedito, quale premio, nei campi di Germania a imparare anche il tedesco e a schiarirsi le idee. Riuscirà a tornare a casa, in Francia, solo a guerra finita, ma non troverà più la sua famiglia e neanche il suo paese, mai più ricostruito dopo – pensate – neanche oggi che sono passati oltre 80 anni.
Le Brandes era allora un piccolo sobborgo del piccolo paese di Oradour-sur-Glane.
Il 9 giugno ’44, i nazisti fermi nel sud della Francia vennero chiamati in fretta e furia verso nord, per bloccare lo sbarco alleato della Normandia di tre giorni prima. Tra questi, la famigerata 2a Divisione Corazzata S.S. Das Reich, una delle più assassine, fanatiche e violente. Parliamo di 9.000 uomini. Sconfitta e distrutta in Russia, era stata mandata nel sud della Francia a riposare e riprendere fiato. Solo per un attimo, però.
Se ti hanno creato vipera in laboratorio non è che con un paio di mesi di letargo tu possa cambiare in agnello pasquale. Sei vipera e vipera rimani.
Lungo il viaggio per incontrare gli Alleati del D-Day, si fermarono a La Bussière. Lì, gruppi di maquis (i partigiani francesi) sulla tarda sera attaccarono il 3° battaglione del gen. Helmut Kampfe, Croce di ferro in Russia, terrore nelle campagne di Zhitomir-Berdichev con interi villaggi macellati e cancellati dalla cartina geografica. Peggio di Attila ai tempi degli Unni. Kampfe venne preso prigioniero e poi ucciso, forse in un tentativo di fuga. Forse. Mai provato.
Fu provato invece il comportamento del suo collega, il Kommandant del 4° reggimento “Der Fuhrer” – un nome, una garanzia di successo – il mag. Adolf Diekmann, nazista fanatico, a 25 anni premiato dall’altro Adolf con tanto di Croce di ferro, persino istruttore delle S.S.
Non so se per vendetta, per cercare la gloria o la riconoscenza di Hitler, decise di cancellare dalla faccia della terra il primo paese che avrebbe trovato sulla sua strada. Non risultarono altre colpe. Qualcuno affermò che lì vi erano nascosti i sequestratori di Kampfe, ma non venne mai riscontrato.
Era solo il primo paese che incontravi sulla via che portava in Normandia, in mezzo alla campagna francese, in un giugno di sole.
Grandissima colpa. La colpa di essere vivi.
Gli uomini di Diekmann, arrivarono verso le 14. Ordinarono a tutti – tutti gli abitanti – di farsi trovare in piazza entro 45 minuti. Era un sabato d’estate, le famiglie contadine erano in casa riunite per mangiare e per un breve riposo.
Ubbidirono senza particolari timori, non avendo nulla di cui pentirsi o da nascondere, senza capire. Erano contadini, solo donne, anziani e bambini. Gli uomini, qui come altrove, erano a fare la guerra, chissà dove, chissà contro chi, nella Francia collaborazionista e filo-fascista di Pétain.
Alle ore 15:00 con la solita maledetta precisione teutonica, Diekmann dette l’ordine. E non poteva essere diversamente. Era stati tutti creati in laboratorio, erano tutti elementi che producevano la stessa reazione chimica. Come Kurt Deluege a Lidice, Max Simon a Sant’Anna, Walter Reder a Marzabotto, Arthur Walter a Lippa di Elsane e, perché no, il nostro Cesare Benelli a Domenikon in Grecia o il fascistone di Temistocle Testa a Podhum.
Cosa c’è da meravigliarsi? Sono reazioni che potrebbero riprodursi anche in futuro se continuiamo a propagandare certi virus, se non bonifichiamo sul nascere certe epidemie, letali nel passato.
Alle ore 15:00 tutte le donne e i bambini – 400 almeno in tutto – furono racchiusi in chiesa “per pregare”. Vennero tutti fatti stendere per terra e due soldati, dopo aver chiuso le porte alle loro spalle, fecero saltare in aria due scatoline con strani spaghi che uscivano. Erano solo due piccole micce di due grandi bombe. L’esplosione fece crollare la chiesa, il fuoco divampò in un secondo. Chi riusciva a uscire dalla chiesa per qualche strano miracolo, veniva subito ucciso, come tutti gli uomini lasciati fuori a vedersi per un attimo lo strano spettacolo.
Furono 648 i morti quel giorno. Tutto il paese. Delle persone presenti si salvò solo una ragazza, Marguerite Rouffanche, ferita gravemente e creduta da tutti morta. Anche dai sicari che poi andarono, corpo su corpo, a finire i feriti. Di tutti i residenti di Oradour-sur-Glane e borghi vicino, oltre a Margherite, si salvarono solo una donna, 5 ragazzi e un bambino molto piccolo, che quel pomeriggio erano lontani nei campi, non erano tornati e non sapevano del cortese invito di Diekmann e dei suoi bravi.
Alle 17:00 con la solita precisione teutonica le S.S. se ne andarono dal paese. Ma non soddisfatti vi tornarono il giorno 12, per vedere se qualcuno era ancora vivo, per seppellire qualche corpo e bruciare e distruggere tutto il paese. Come a Lidice non ci doveva essere più nulla, neanche un filo d’erba. Neanche il pero e il melo speluchi di Lidice.
Come a Lidice, ma a differenza di Lidice, Oradour-sur-Glane non verrà più ricostruita né sul luogo, né vicino al luogo.
Faranno lo stesso i croati a Podhum dopo il nostro passaggio del 12 luglio 1942. Anche Podhum oggi non esiste.
Fu così che deve averla ritrovata Toni quando, liberato dai lager di Germania, si diresse ansioso verso la sua casa di campagna, per riabbracciare dopo 5 anni i suoi cari. Ma la moglie Lucia e 7 dei suoi 9 figli non poté più rivederli. Se ne erano già andati senza un saluto, senza un addio, senza disturbare, un sabato di sole dell’anno precedente.
Non mi è dato a sapere che fine abbiano poi fatto Toni e i suoi due figli assenti quel giorno in paese. Ma forse è meglio così. Non so se avrei avuto la forza di leggere le sue lacrime e recepire la vastità del suo immenso dolore. Immenso dolore in quanto dolore, doppiamente immenso in quanto suo. Persino i 20 mesi di lager gli saranno sembrati in confronto leggeri come la neve.
Pochi anni fa, nel 2014, un giovane regista veronese – Mario Vittorio Quattrina – ha voluto interessarsi della storia di Lucia, Toni e della loro famiglia. Ne è nato un film che purtroppo io non sono riuscito a vedere, ma credo fosse meritevole di Oscar quanto ‘La vita è bella’. Lo intitolò ‘Il fuoco sopra gli angeli’. Chi avesse acceso il fuoco e chi fossero gli angeli non serve che ve lo dica.
Anche il grande Ezio Biagi nel 1995 parlò molto di Oradour-sur-Glane in ‘La seconda Guerra Mondiale’.
Resta il fatto che da noi la storia non è nota. Ma del resto se non si conosce la strage sorella di casa nostra – quella di Sant’Anna di Stazzema – o se qualche politico da 4 soldi o da 49 milioni paragona l’anagrafe canina a quella Antifascista di Sant’Anna non dobbiamo meravigliarci (“Cosa penso dell’anagrafe antifascista di Stazzema? Vabbè, l’anagrafe io la lascerei per l’anagrafe canina” parole di Matteo Salvini a Firenze, in via de’ Cerretani, il 6 febbraio 2018).
Sono reazioni che potrebbero moltiplicarsi anche in futuro se continuiamo a propagandare certi virus, se non bonifichiamo sul nascere certe epidemie, se non creiamo una conoscenza storica del passato.
Ma è utile elettoralmente? Serve?
A guerra finita Oradour-sur-Glane divenne un museo all’aria aperta.
È rimasto com’era dopo il massacro, come foto perenne a memoria di quelle rovine.
Il mag. Diekmann, a differenza di Walter Reder o di Max Simon, non fu però promosso, suo malgrado. Solo 19 giorni dopo, a Noyers-Bocage, incontrò gli Alleati che, senza sapere chi fosse e di cosa si fosse prima macchiato, lo uccisero in combattimento e lo mandarono a raggiungere velocemente l’amico di laboratorio, Kampfe.
A Bordeaux nel 1953 si processarono alcuni soldati e ufficiali presenti e attivi nel massacro. Anche lì fu una vera beffa, anche in Francia c’era da ricostruire la storia post-fascista e post-collaborazionista di Vichy. Anche lì amnistie (19 febbraio 1953), fughe facili di criminali verso paesi esotici, sentenze opache, il fascismo tenuto in vita con la bombola d’ossigeno per i posteri. Solo due condanne a morte, che poi divennero carcere a vita e a seguire scarcerazioni quasi immediate.
Si racconta che un vecchio sindaco di Oradour-sur-Glane che aveva ricevuto la “croce di guerra” conferita al paese, a sentire l’esito del processo l’abbia restituita senza pensarci due volte. Peggio ancora “l’Associazione delle vittime” del massacro, che preferì seppellire dentro le urne funerarie (un’unica urna, a dire il vero) la Legione d’Onore ricevuta, quale chiaro gesto di offesa.
Il Maresciallo Philippe Pétain, Generale di Corpo d’Armata, Croce di guerra ’14-‘18, Gran Maestro dell’Ordine della Legion d’Onore, salvatore della patria a Verdun con tanto di Medaglia Militare, eroe riconosciuto della Grande Guerra, ma vero collaborazionista di Hitler dopo il giugno ‘40, venne processato nella Norimberga Francese dell’autunno del 1945. Come il suo braccio destro, Pierre Laval, venne condannato a morte, ma a differenza di questi, non venne fucilato il 15 ottobre ‘45. Il nuovo capo della Francia, Charles de Gaulle, per l’età (89 anni) e per le medaglie di Verdun commutò la pena in carcere eterno.
Morirà 6 anni dopo nel 1951. Le sue spoglie non finirono come da sua precisa richiesta – rifiutata dal governo – nell’ossario di Verdun assieme ai suoi soldati, ma nel piccolo anonimo cimitero di Port-Joinville, quello dei carcerati comuni di L’Ile-d’Yeu dov’era stato condannato per sempre.
Non avrà quindi facili visite o solenni rimpatriate come qualcuno a Predappio, pur non essendo stato quest’ultimo eroe nella Grande Guerra.
In ogni caso, per i bambini e tutti i morti innocenti causati dalla Francia di Vichy o dalla nostra Repubblica di Salò, poco sarebbe cambiato, anche con scelte politiche diverse.
10 giugno 2025 – 81 anni dopo - Liberamente tratto dal mio ‘La colpa di esser minoranza’ - Ed. AliRibelli – 2020
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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