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10 giugno 2025
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Decreto sicurezza: non fermiamoci
di Federica Borlizzi *

"We refuse to be what you wanted us to be. We are what we are -that's the way it's going to be".

Eravamo, in migliaia, in piazza a Roma ad opporci al decreto sicurezza voluto dal Governo Meloni.

In questi mesi, in migliaia, ci siamo mobilitati in tutto il Paese, dando vita a decine di iniziative; presidi; cortei.

È stata una risposta di popolo, larga, plurale, non politicista all’autoritarismo che questo Esecutivo sta mettendo in campo.

Lo sappiamo bene come, da trent’anni, il tema della “sicurezza” sia usato come specchietto per le allodole. Un paravento funzionale a legittimare leggi violente, impregnate di razzismo, classismo e sessismo. Una colpa equamente distribuita tra i governanti di destra e sinistra. Da Maroni, a Minniti-Orlando fino ai decreti di Salvini e della Lamorgese.

Una lunga catena repressiva, che ha causato incommensurabili danni sociali: persone migranti costrette all’irregolarità e detenute, in condizioni inumane, nei CPR (cui, ricordiamolo, Minniti ha dato nuovo vigore); Daspo urbano per senza dimora; venditori ambulanti; sex workers, giovani razzializzati allontanati dai nostri territori come reietti; criminalizzazione delle lotte sociali; restrizione di ogni spazio di dissenso, con l’impossibilità di esercitare il sacrosanto diritto di manifestare.

Il Governo Meloni si era già trovato la strada spianata.

E proprio per questo ha potuto mettere in campo un provvedimento che segna un ulteriore salto di qualità nelle dinamiche di controllo sociale e di repressione. Un cambio di paradigma nel rapporto tra Stato e società civile, che ci riporta direttamente nei tempi più bui della nostra storia. A dirlo, non state solo le migliaia di persone; di associazioni; di spazi sociali; di realtà sindacali scesi in piazza in questi mesi. Non è stata solo la magistratura; i e le docent3 universitarie; gli e le avvocat3.

A dirlo sono stati gli stessi organismi internazionali, dalle Nazioni Unite al Consiglio d’Europa, che hanno affermato chiaramente come l’approvazione di quel provvedimento avrebbe rappresentato per l’Italia una rottura con lo Stato di Diritto, traghettandoci direttamente in uno Stato di Polizia, in cui è impedito l’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali.

Davanti a tutto questo, cos’ha fatto questo Governo?

In maniera vile, ha strappato il DDL Sicurezza da una discussione parlamentare che durava da oltre un anno e lo ha trasformato in un decreto legge approvato, a colpi di Consiglio dei Ministri, in meno di 48 ore. Perché hanno avuto paura. Paura di non controllare l’opposizione a questo provvedimento, dentro e fuori il Parlamento.

Hanno dimostrato la vera pasta di cui sono fatti: vili e codardi. Utilizzando lo strumento del decreto legge come un manganello legislativo. Dando vita ad una forzatura istituzionale gravissima, in sfregio a qualsiasi confronto democratico e agli stessi organismi internazionali.

Dunque dall’11 aprile, con l’approvazione di questo decreto legge, siamo già in uno scenario distopico, in un delirio repressivo: fino 5 anni di reclusione per una resistenza passiva in carcere o nei CPR; 2 anni di galera per un blocco stradale; 7 anni per l’organizzazione di un picchetto anti-sfratto; 3 anni per l’imbrattamento di un edificio istituzionale.

Anni di galera, per condotte inoffensive. Anni di galera per chi pone in essere la benché minima forma di dissenso. Per non parlare di ciò che si prevede per le madri detenute; per chi si trova in una condizione di marginalità sociale; sul settore della cannabis; sulla revoca della cittadinanza e sui privilegi elargiti alle forze dell’ordine.

Davanti a tutto questo, non può non cogliersi l’importanza della mobilitazione che si è creata contro questo provvedimento.

Una opposizione non solo difensiva ma che ha saputo contrattaccare. Che intende ridare senso alla parola “sicurezza”, sottraendola dalla spirale del securitarismo per ancorarla all’unico significato che dovrebbe avere: la sicurezza sociale.

Sicurezza è avere un tetto sopra la testa; non morire sul lavoro; non aspettare mesi per una mammografia; non subire il ricatto di una cittadinanza negata; non perde la libertà per un permesso di soggiorno che ti hanno impedito di avere. Sicurezza è sapere che, se scendi in piazza, non rischi di finire in galere solo perché hai manifestato il tuo dissenso. Sicurezza è non essere lasciato in balìa dell’arbitrio delle forze dell’ordine, oramai forti della loro impunità e di uno Stato che pagherà anche le spese processuali per i loro abusi di potere.

L’abbiamo detto in piazza che è solo l’inizio. E ci crediamo veramente.

Sarà lunga. Bisognerà lavorare tanto. Stare nei nostri territori, presidiare i nostri quartieri, opporci alla loro militarizzazione già avvenuta con le ignobili “zone rosse”. Bisognerà continuare a praticare disobbedienza a questi leggi ingiuste. Continuare a tessere quei legami di solidarietà che vogliono, in ogni modo, spezzare.

Ma la mobilitazione che abbiamo saputo creare, le convergenze inedite che -finalmente- si stanno realizzando sono ossigeno. Ossigeno puro davanti alle miserie di questo presente.

Nei prossimi mesi, davanti a questo attacco inedito, dovremmo continuare a realizzare alleanze inedite, a sperimentare linguaggi e pratiche nuove; ad aprire spazi reali di trasformazione, praticando una resistenza democratica diffusa. Abbiamo imparato a camminare insieme, ora tocca solo non fermarci.

“Faccio una distinzione precisa tra marginalità imposta da strutture oppressive e marginalità eletta a luogo di resistenza -spazio di possibilità e di apertura radicale. […]. Noi giungiamo in questo spazio attraverso la sofferenza, il dolore e la lotta. Sappiamo che la lotta è il solo strumento capace di soddisfare, esaudire e appagare il desiderio. La nostra trasformazione, individuale e collettiva, avviene attraverso la costruzione di uno spazio creativo radicale, capace di affermare e sostenere la nostra soggettività, di assegnarci una posizione nuova da cui poter articolare il nostro senso del mondo”.

* Giurista

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