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Israele usa esca del cibo per avere bersagli umani ma i media non lo dicono
di Alessandro Ferretti
E’ senza dubbio una delle imprese criminali più crudeli della storia. Il governo israeliano, con una perfidia e una crudeltà oggettivamente paragonabile a quella dei nazisti, ha infatti realizzato un’operazione senza precedenti che da un lato serve a far credere che il cibo stia finalmente arrivando a Gaza e dall’altro cerca di far precipitare i palestinesi nell’anarchia fratricida, in modo che si ammazzino tra di loro sollevando l’esercito di occupazione da questa incombenza.
Ecco come e perché i massacri nei centri GHF avvengono ogni giorno, passo dopo passo (grazie a Muhammad Shehada).
1. I Gazawi disperati per la fame dormono all’aperto nei pressi della moschea Mu‘awiya di al-Mawasi, da cui si accede ai centri di distribuzione della GHF (Gaza Humanitarian Foundation).
Verso l’alba, arrivano altre persone disperate che iniziano a spingere nella fila per cercare di raggiungere ai centri.
L’IDF apre il fuoco: il primo massacro della giornata avviene tra le 3:00 e le 4:00 del mattino, ogni giorno, con regolarità spietata.
Più colpi vengono sparati, più le persone fuggono nel panico e vengono calpestate, e più l’IDF intensifica la violenza — con pallottole, granate, cannonate.
2. Le gang criminali finanziate, armate e protette da Israele arrivano per prime: all’alba, IDF e GHF permettono l’accesso a collaborazionisti, saccheggiatori, bande e appaltatori.
Questi aprono le scatole degli aiuti per rovistare e rubare gli oggetti più preziosi, (come l’olio) da rivendere sul mercato nero.
In questa fase non si registrano massacri.
3. Nelle prime ore del mattino, arriva la prima ondata di gazawi affamati.
Vengono fatti entrare nei campi recintati e nei recinti di distribuzione, ma il sistema non regge: il GHF fornisce solo 8.000 scatole di cibo al giorno per una popolazione di 2,4 milioni di persone. Per disperdere gli affamati l’IDF apre nuovamente il fuoco: secondo massacro.
Chi riesce a prendere una scatola di cibo spesso viene derubato lungo il tragitto del ritorno da criminali o gruppi armati.
4. Arriva una seconda ondata di disperati: trovano solo avanzi, setacciano la sabbia per recuperare farina, pasta o riso caduti dalle scatole precedenti.
Meno cibo c’è, più le persone si accalcano per raccogliere gli scarti.
L’IDF spara di nuovo: terzo massacro della giornata, giustificato affermando che i gazawi si stavano avvicinando troppo ai soldati israeliani.
5. Una terza ondata di affamati giunge al centro. Non trovano più nulla. Vengono affrontati da mercenari americani armati, che ordinano loro di tornare indietro, minacciando che i carri armati israeliani apriranno il fuoco.
Ma la folla rifiuta di ritirarsi: ha aspettato ore sotto il sole cocente, ha camminato decine di chilometri e non ha neppure la forza per tornare.
Ha bisogno di qualsiasi cosa da mangiare, anche solo per restare in piedi.
È a questo punto che IDF e mercenari americani iniziano a usare granate stordenti e pallottole, cannonate dai carri armati e altro ancora per disperdere la folla.
Il fuoco indiscriminato provoca panico e caos, e questo alimenta ulteriormente la reazione violenta dell’IDF.
Alla fine, le persone tornano a mani vuote, sconfitte e affamate, nell’area di al-Mawasi, dove passeranno un’altra notte all’aperto, in attesa dell’alba successiva. Per ricominciare tutto da capo.
Eppure, leggendo i giornali italiani (ma anche esteri) la sistematica quotidianità di questa perversa trappola assassina non traspare affatto. La GHF viene tipicamente definita al più come “controversa”, le veline del governo israeliano che dicono sfacciatamente di aver fornito milioni e milioni di pasti e accusano Hamas di ogni cosa vengono costantemente riportate in bella vista, mentre le testimonianze delle vittime e le immagini della disperazione vengono sistematicamente ignorate in modo da seminare dubbi e non far montare l’indignazione.
Purtroppo duole constatare che il riposizionamento della politica e dei media riguardo al genocidio è solo di facciata, un tentativo di recuperare credibilità confondendo le acque, senza porsi come obiettivo quello di fermare il genocidio e tantomeno di rendere giustizia ai palestinesi.
Oggi come ieri, la responsabilità di fermare il genocidio ricade su quella minoranza di persone che hanno cuore e coraggio, mentre la maggioranza non vede l’ora che Israele completi l’opera per allargare le braccia e tornare ad occuparsi delle loro miserabili esistenze senza provare il minimo rimorso per la loro silente complicità.
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