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09 giugno 2025
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Chi non parla di resistenza non parla di Gaza
di Rossella Ahmad

Non sono cinquantamila i morti di Gaza, come viene detto e scritto da mesi in ogni contesto mainstream. Moltiplica questa cifra per quattro e non sarai molto lontano dalla verità.

Parliamone in questi termini. E parliamo del numero di bambini ed adulti amputati. Privi di un arto o due, o quattro. Una popolazione di disabili, costretti ad arrancare su stampelle di fortuna e carriole, ottimo mezzo per distoglierli definitivamente dalla resistenza. A meno che non si crei a Gaza una nuova categoria di resistenti, dopo quelli in infradito e camicie a quadri: i resistenti sulla sedia a rotelle.

Bisognava gridarlo ancora più forte ai pervertiti che ieri hanno dato spettacolo nella piazza ibrida di Roma - no, non parlo di amici e compagni che in buona fede vi hanno partecipato obbedendo ad un imperativo categorico piombato su di essi, e su noi tutti, a partire dal sette ottobre 2023. Anzi, da decenni.

Parlo di chi aveva il potere di fare e non ha fatto, Di chi poteva parlare e non ha parlato. Peggio: di chi lo ha fatto solo per veicolare al vasto pubblico a sua disposizione la narrativa distorta dell'ultimo potere coloniale della storia, impegnato in un genocidio.

Avrebbero potuto impedire i cinquantamila morti per quattro.
Avrebbero potuto limitare e sfoltire di molte migliaia la popolazione di amputati, disabili a vita.
Avrebbero potuto se non altro salvarsi la faccia.
Hanno invece scientificamente deciso di avallare, blandire, proteggere, giustificare e sostenere un potere malvagio, impegnato in un genocidio.

Per quello che mi riguarda hanno perso ogni residua credibilità - che non gli ho mai accordato, tra l'altro - dal primo giorno in cui hanno voltato la faccia al sangue di Gaza.

Non sarà una piazza spuria - né con X né con Y anzi con entrambi - a riabilitarli ai miei occhi. Mai con loro. Mai con il PD, il cui nome è una bestemmia, per me irricevibile.

Il mondo come rappresentazione. Contenitore vuoto di immagini di superficie che rimbalzano agli occhi senza alcuna pretesa di profondità, né di pienezza. E di nuovo ribadisco che non della gente comune parlo, di cui ho colto lo sgomento genuino in pochi frammenti di video, e neanche di coloro che sinceramente, e con impegno, hanno lottato per denunciare gli orrori di Ground Zero Gaza fin dall'inizio, ma dei farabutti impegnati nel candeggio dell'ultimo colonialismo della storia.

Quando non riesci a battere il bullo del quartiere, diventagli amico. E quando non riesci più a candeggiare l'immagine di Israele, portalo in piazza sotto il nome di Palestina, mentre finanzi sottobanco - ma neanche troppo - l'ultima bomba caduta oggi su Rafah.

Sono costernata e amareggiata di questo paese e dei tanti quaquaraquà che lo popolano. Gente che si serve di ogni misera vetrina in suo possesso per veicolare il nulla. Palloni gonfiati senza arte né parte che sporcano il nome della Palestina con il solo pronunciarlo. Questo paese si regge ancora per i pochi/tanti che se ne distaccano, con disprezzo.

Sempre più soli, di fronte al centro ibrido che si ammassa, togliendo significato a concetti nobili come resistenza e vita degna, riducendoli all'ode per la nuda vita che a loro piace. Involucro senza contenuto.

Diciamoglielo che chi non parla di resistenza non parla di Gaza. E che a Gaza non serve il pane, ma la legge.

I "moderati". I peccatori capitali della nostra era.

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