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01 giugno 2025
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Siria: inquietante apertura a Israele
di Leandro Leggeri

In un’intervista al Jewish Journal, rilanciata da The Cradle, il presidente ad interim siriano Ahmad al-Sharaa – noto in passato come Abu Mohammad al-Julani, ex leader jihadista di Al-Qaeda in Siria – ha dichiarato che Israele e Siria “condividono nemici comuni”. Parole che aprono alla possibilità di una cooperazione tra Damasco e Tel Aviv, nel pieno di una fase storica segnata da bombardamenti israeliani continui sui territori siriani e da un’occupazione che si estende ormai ben oltre le Alture del Golan.

Sharaa si dice pronto al dialogo con Israele, a patto che esista “un chiaro percorso verso la coesistenza”. Una linea che segna un netto distacco dalla tradizionale posizione del governo siriano, storicamente schierato al fianco della causa palestinese e contrario alla normalizzazione con Tel Aviv. Il nuovo leader siriano evoca persino l’Accordo di Disimpegno del 1974, firmato dopo la guerra dello Yom Kippur, come possibile modello di “moderazione reciproca”.

Le dichiarazioni arrivano in un momento delicato: secondo fonti occidentali, vi sarebbero stati colloqui diretti tra rappresentanti siriani e israeliani con l’obiettivo dichiarato di “prevenire nuove escalation lungo il confine”. Ma dietro le diplomazie, resta un dato centrale: Israele continua a bombardare infrastrutture siriane, a occupare terre arabe, e soprattutto a condurre una brutale guerra contro il popolo palestinese, in particolare nella Striscia di Gaza.

Che un leader siriano oggi scelga di tendere la mano a Israele mentre questo intensifica la repressione contro i palestinesi solleva interrogativi profondi. Si tratta di una svolta tattica o del primo passo verso una vera e propria normalizzazione, sulla scia degli Accordi di Abramo e dei processi già in atto in diversi paesi arabi?

In ogni caso, la retorica dei “nemici comuni” rischia di oscurare la realtà dell’occupazione e della colonizzazione. In nome della “sicurezza regionale”, si rischia di sacrificare una volta di più il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e di legittimare un’aggressione militare che dura da decenni.

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