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Storico israeliano a Londra: rimuovete Hamas da elenco terroristi
di
Leandro Leggeri
Nel cuore del dibattito politico britannico, una voce autorevole si leva contro l’approccio binario e semplificato con cui l’Occidente ha trattato Hamas. In un articolo pubblicato su Middle East Eye, lo storico di origini israeliane Avi Shlaim – professore emerito di relazioni internazionali all’Università di Oxford, già membro della British Academy e tra i massimi esponenti dei "Nuovi Storici" israeliani che hanno rivisitato criticamente la versione ufficiale della nascita dello Stato di Israele – chiede al Regno Unito di adottare una posizione più equilibrata e storicamente fondata sulla questione palestinese, in particolare sulla classificazione di Hamas come organizzazione terroristica.
Shlaim è noto a livello internazionale per il suo libro The Iron Wall: Israel and the Arab World, un'opera fondamentale che analizza la dottrina israeliana del rifiuto del compromesso con il mondo arabo e ne denuncia le conseguenze sul lungo periodo, tra cui la perpetuazione del conflitto e la negazione dei diritti palestinesi.
Secondo Shlaim, l’inclusione dell’intero movimento nella lista delle organizzazioni proscritte dal governo britannico nel 2021 è stata una decisione politica, guidata da interessi interni e da un appoggio incondizionato a Israele, e non da una reale minaccia alla sicurezza nazionale. Il professore sottolinea come Hamas non abbia mai operato nel Regno Unito e come la sua ala politica rappresenti una componente essenziale della società palestinese, eletta democraticamente nel 2006 e pronta – all’epoca – a una coesistenza negoziata.
Shlaim dedica anche un’importante riflessione agli eventi del 7 ottobre 2023 e alla gestione mediatica della narrazione dominante in Occidente. Denuncia come i principali media occidentali abbiano fatto totale affidamento sul racconto israeliano, rilanciando accuse infondate e notizie false – come quella dei "40 bambini decapitati" – mentre la prospettiva palestinese è stata sistematicamente oscurata.
Shlaim riporta le parole di Mousa Abu Marzouk, leader dell’ala politica di Hamas, secondo cui l’operazione del 7 ottobre aveva obiettivi militari specifici e ai combattenti erano state impartite istruzioni chiare a non colpire civili, donne, bambini o anziani. Le violazioni di queste direttive, ammette Hamas, ci sono state, ma il movimento si dice disposto a collaborare con la Corte Penale Internazionale o con qualsiasi organismo terzo indipendente per un’indagine trasparente.
Una disponibilità che, secondo Shlaim, contrasta radicalmente con il comportamento di Israele, che nega l’accesso ai giornalisti a Gaza e rifiuta ogni indagine internazionale sui crimini commessi dalle proprie forze armate. Spiegare il contesto in cui Hamas ha agito, avverte lo storico, non significa giustificare la violenza contro i civili – “uccidere civili è sempre sbagliato” – ma è essenziale riconoscere che quell’attacco non è avvenuto nel vuoto: è il frutto di decenni di brutale occupazione militare. I palestinesi, in quanto popolo sottoposto a un’occupazione illegale, hanno diritto alla resistenza, anche armata.
In questo quadro, etichettare l’intero movimento Hamas come “terrorista” significa, secondo Shlaim, offrire a Israele un lasciapassare per continuare la devastazione di Gaza senza dover rendere conto a nessuno, e impedisce una comprensione più equilibrata delle origini, degli obiettivi e dei principi del movimento.
In un momento in cui Gaza è devastata da mesi di bombardamenti e punizioni collettive, Shlaim difende il diritto dei palestinesi alla resistenza e invita Londra a riconoscere il contesto storico di occupazione e colonialismo che ha alimentato il conflitto. La sua presa di posizione sostiene l’iniziativa legale in corso per chiedere la rimozione della proscrizione dell’ala politica di Hamas, guidata dall’avvocatura londinese Riverway e da Abu Marzouk.
Secondo Shlaim, una revisione della politica britannica su Hamas non rappresenterebbe soltanto un atto di coerenza giuridica, ma costituirebbe anche un primo passo verso quella giustizia storica che il popolo palestinese – occupato, espropriato e sistematicamente marginalizzato, anche con la complicità delle potenze occidentali, a partire proprio dalla Gran Bretagna – attende da oltre un secolo.
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