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Centri non di aiuto ma per decidere chi vive e chi muore
di
Antonella Salamone
In un’intervista con Mathilda Mallinson di MEE Live, il giornalista palestinese Mohammed Shehada ha descritto i centri di distribuzione degli aiuti israeliani a Rafah come “campi di concentramento pesantemente militarizzati”, esprimendo la paura diffusa tra i residenti di Gaza.
Shehada ha raccontato le misure di sorveglianza estreme a cui i palestinesi devono sottoporsi, tra cui riconoscimento facciale, rilevamento delle impronte digitali e molteplici livelli di controlli regolati da criteri non dichiarati.
Ha sottolineato come i civili siano costretti a percorrere oltre 40 chilometri — spesso sotto continui bombardamenti — per poter accedere ad aiuti basilari, correndo il rischio costante di essere uccisi, rapiti o costretti con la forza dalle forze israeliane.
Ha concluso dicendo che, per molti a Gaza, questi centri di aiuto non sono vie di salvezza, ma strumenti di controllo — dispositivi usati per decidere “chi vive e chi muore.”
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