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24 maggio 2025
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di Leandro Leggeri

L’attivista israeliana Sofiya Emuna, durante una manifestazione pro-Israele, ha pronunciato parole di odio e incitamento contro i palestinesi:

“Distruggete la loro prole, così non potranno generarne altra” — ha detto ad alta voce ciò che solitamente si tace.

Le sue parole riecheggiano quelle di Heinrich Himmler, uno dei principali artefici dell’Olocausto, che nel 1943 dichiarò: “Non mi sentivo giustificato a sterminare gli uomini e lasciare che i loro figli crescessero. Bisognava prendere la difficile decisione di far scomparire questo popolo dalla faccia della terra.”

La bandiera israeliana che Emuna alza non è solo un simbolo nazionale, ma l’emblema di un’ideologia che, nelle sue parole, adotta la stessa logica disumana dei nazisti contro i palestinesi.

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Yaron e Sarah non erano semplici diplomatici. Lui, israelo-tedesco, era attivo nella contro-narrazione mediatica contro le accuse a Israele. Il suo ultimo tweet, diventato virale postumo, ritwittava un messaggio dell’ambasciatore Leiter che bollava come “calunnia del sangue” il rapporto ONU sulla fame a Gaza, definendo “propaganda” le cifre sui 14.000 bambini a rischio morte. Sarah, cittadina USA, lavorava nel dipartimento per le relazioni pubbliche dell’ambasciata.

Yaron Lischinsky non nasce ebreo. Cresciuto come cristiano a Norimberga, Germania, ha compiuto il processo di “aliyah” a 16 anni – termine con cui si designa l’emigrazione degli ebrei verso la Palestina storica, oggi rivendicata dallo Stato d’Israele. Ma al di là della retorica, l’aliyah rappresenta, in termini concreti, una forma di colonizzazione sostenuta dal regime di Tel Aviv, volta a rafforzare la presenza ebraica nei territori sottratti al popolo palestinese. Una volta trasferitosi nello Stato israeliano, Lischinsky ha servito nell’esercito e ha scelto di dedicare la propria carriera diplomatica alla promozione della causa sionista.

Descritto dai suoi mentori come “devoto a Israele” e “ambasciatore dei valori giudeo-cristiani”, Lischinsky ha incarnato l’archetipo del funzionario impegnato a giustificare e rafforzare l’immagine internazionale dello Stato israeliano. I suoi studi in diplomazia e relazioni internazionali sono stati messi al servizio di una narrativa statale, fortemente allineata con gli interessi strategici israeliani.

Amico di figure note del mondo filo-israeliano in Germania, era considerato parte della nuova leva diplomatica impegnata nel “ponte” tra l’Occidente e Israele – una formula spesso usata per dissimulare l’attività di lobbying e normalizzazione dell’apartheid israeliano.

L’ultimo messaggio pubblico di Lischinsky, poche ore prima della sua morte, è stato il retweet in cui accusava le Nazioni Unite di collaborare con Hamas e di essere “non neutrali” nel conflitto a Gaza – un’eco diretta della propaganda israeliana volta a delegittimare qualsiasi organismo internazionale che denunci i crimini di guerra di Tel Aviv.

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