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Per politici di Israele Netanyahu guida il Paese verso il baratro
di Leandro Leggeri
Le recenti dichiarazioni di Yair Golan ed Ehud Olmert meritano attenzione. Non perché esprimano una reale empatia verso le sofferenze del popolo palestinese — non è da lì che nascono — ma perché mettono in luce una crepa sempre più evidente all’interno della leadership israeliana. A parlare è quella parte dell’élite politica e militare che ha compreso che la strategia di Netanyahu non sta rafforzando Israele, ma lo sta trascinando verso il disastro.
Golan ha definito “delirante” l’idea di reinsediare Gaza, avvertendo del rischio che Israele si trasformi in uno Stato messianico e autoritario. Olmert, da parte sua, ha accusato Netanyahu di condurre il Paese in una guerra senza sbocchi, capace solo di minare il suo futuro. Parole pesanti, che riflettono un timore profondo: quello di essere intrappolati in un conflitto che non ha soluzione né via d’uscita.
L’occupazione permanente di Gaza non è solo moralmente riprovevole — è anche militarmente e politicamente insostenibile. Vorrebbe dire governare direttamente oltre due milioni e mezzo di abitanti ostili, senza potersi appoggiare a un’amministrazione collaborazionista come l’ANP in Cisgiordania. A peggiorare il quadro, Hamas non è stata sconfitta: conserva ancora una solida capacità militare e una rete sotterranea che le consente di colpire con imboscate e attacchi mirati.
Per mantenere il controllo su Gaza, Israele dovrebbe schierare decine di migliaia di soldati in modo permanente, esponendoli a un conflitto urbano asimmetrico, logorante e ad alto costo umano. Lo si sta già vedendo sul campo, dove l’esercito fatica a raggiungere i suoi obiettivi nonostante mesi di operazioni.
Non è un caso, allora, che nel 2005 Ariel Sharon — figura emblematica della destra israeliana e architetto degli insediamenti — decise il ritiro unilaterale da Gaza. Non fu un gesto di apertura verso i palestinesi, ma una scelta strategica: l’occupazione diretta si era rivelata insostenibile, troppo costosa in termini di vite umane, risorse militari e pressione internazionale. Sharon comprese che Gaza era una trappola.
Pensare oggi di ripristinare quell’occupazione in condizioni ancora più sfavorevoli non è solo un’illusione nostalgica: è una follia strategica. Israele è più isolato che mai, diviso al suo interno, e senza un piano realistico per il “dopo”. Ripetere gli errori del passato, ignorando le lezioni della storia, rischia di aggravare una crisi che già oggi appare fuori controllo — per Israele stesso, e ancor più per il popolo palestinese.
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